Partigiani sardi caduti in Piemonte -2-

Sacrario Pian de Lot (TO)

Link parte 1: Cognomi dalla A alla L

Si ricorda che, laddove nel nome non siano presenti delle indicazioni specifiche, per le fonti si dovrà fare riferimento alle note presenti a fondo pagina. Nel caso il lettore sia a conoscenza di ulteriori informazioni, nei commenti all’articolo potrà integrare o chiedere di modificare eventuali inesattezze che, sicuramente, non mancheranno.

Cognomi dalla M alla Z

Mascia Querino nato a Senorbì il 7 maggio 1909.
Frequentemente indicato anche con il cognome “Maxia” e il nome “Quirino” o “Guerino”.
Da Senorbì (CA) si trasferì nel 1934 in Piemonte, a Venaria Reale (o Collegno) per esercitare l’attività di sarto. Nel novembre 1943 entrò nelle formazioni partigiane della II Divisione d’Assalto Garibaldi Piemonte, 11^ Brigata Torino, operante nelle Valli di Lanzo, con il nome di battaglia “Cavallino bianco”. Conseguì il grado di comandante di squadra. Il 9 marzo 1944 venne catturato durante un rallestrallamento a Pessinetto (TO), riconosciuto da un capomanipolo (tenente) della Guardia Nazionale Repubblicana già prigioniero dei partigiani garibaldini. Detenuto nel braccio tedesco presso le Carceri Nuove di Torino, venne fucilato il 2 aprile con altri 26 partigiani in località Pian del Lot, presso il Colle della Maddalena, come rappresaglia per l’uccisione del caporale della difesa antiaerea Flak Walter Wohlfahrt, avvenuta a Torino per mano di un commando gappista. Secondo il testimone oculare Giovanni Borca, i prigionieri furono caricati sui camion e portati nel luogo dell’esecuzione. Una volta sul posto, con le mani legate, furono portati nei pressi di una fossa dove, a gruppi di quattro, furono falciati dalle mitragliatrici; molti erano soltanto feriti quando furono ricoperti dalla terra. Borca si salvò perché, insieme ad altri prigionieri, aveva il compito di ricoprire la fossa comune; al suo rientro in carcere gli fu intimato di restare in silenzio sull’accaduto. I corpi furono riesumati il 27 maggio 1945, a guerra finita. Il corpo di Mascia Querino venne traslato presso il Cimitero Generale. Nella fossa si contarono ventisette giovani massacrati, dei quali sette non identificati; studi recenti hanno permesso di dare un nome a tre di questi cadaveri. Il 2 aprile di ogni anno, nei pressi del luogo dell’eccidio, si celebra una cerimonia commemorativa delle vittime della strage.

Melis Salvatore nato a Jerzu il 4 (o 14) marzo 1917.
Operaio nella FIAT Grandi Motori fece parte del 4° Settore S.A.P (Squadre di Azione Patriottica) dal maggio 1944. La vicenda di Salvatore è strettamente legata a quella di Antonio Banfo, suo suocero, una delle figure più in vista del mondo operaio torinese. La mattina del 18 aprile, durante il grande sciopero generale che bloccò le attività nello stabilimento, i fascisti entrarono in fabbrica per bloccare le proteste e impedire che gli operai sfilassero in corteo. Banfo prese la parola e ricordò al comandante fascista le ragioni dello sciopero: spiegò l’orrore di scoprire al mattino compagni di lavoro trucidati e abbandonati per le strade, uccisi con l’accusa di essere partigiani mentre invece si recavano al lavoro e chiese la fine delle rappresaglie. Gli si avvicinò il comandante fascista che, stringendogli la mano, ambiguamente gli disse che lui non avrebbe più visto morti, a patto però che lo sciopero finisse. Quella stessa sera, intorno alle 23, un camion e un’automobile si fermarono davanti alla casa popolare di via Scarlatti 4 bis, in Barriera di Milano, dove abitava la numerosa famiglia Banfo. Una decina di uomini armati fecero irruzione nell’appartamento, presentandosi come partigiani. Nel frattempo Banfo e Melis, che temevano la cattura da parte dei fascisti, passando per il balcone scesero in cantina e si rifugiarono in una latrina di via Monterosa 59, ma vennero ben presto rintracciati. Melis non risultava nella lista dei ricercati ma si rifiutò di lasciare il suocero da solo e, insieme, furono fatti salire sull’autocarro e condotti via. Fatti scendere nell’angolo tra corso Novara e corso Giulio Cesare, furono uccisi con raffiche di mitra nello stesso punto dove solo un paio di giorni prima furono ammazzati altri quattro antifascisti. I sospetti sui colpevoli dell’assassinio caddero sui componenti di una squadra speciale della Federazione comandata da Tullio Dechiffre, sia per le modalità (era solito presentarsi con una falsa tessera di partigiano), per il luogo (lo stesso usato due giorni prima per ‘giustiziare’ quattro antifascisti) e per l’abitudine di effettuare autonomamente, senza nessuna copertura giuridica, questo tipo di incursioni e di esecuzioni notturne.

Mereu Albino nato a Villagrande Strisaili 12 ottobre 1916.
Era residente a Villagrande Strisaili quando venne richiamato e arruolato nella 1^ Compagnia Sanità di Torino. Dopo l’armistizio, nel luglio del 1944, decise di entrare nelle formazioni partigiane, prima nella VII Banda, poi nella Colonna Alessandria e infine nella X Divisione Alpina Langhe “Giustizia e Libertà”, 2^ Brigata Gianni Alessandria, con il grado di comandante di distaccamento. Pochi giorni prima della Liberazione, il 15 aprile 1945, partecipò al tentativo di occupazione di Alba durante la fase pre-insurrezionale preparata con il sostegno del Comando Alleato. Le formazioni “Giustizia e Libertà” ebbero il compito di occupare un’area nella zona meridionale del centro storico della città, dove le forze della RSI presidiavano il posto di blocco in piazza Savona, a difesa del palazzo Barberis su corso Italia. Mereu nel tentativo di assalire il palazzo, provò un’azione ardita nel corso della quale trovò la morte. E’ stato decorato di Medaglia di Bronzo con la seguente motivazione: «Dopo l’armistizio si dedicava alla lotta partigiana ripetutamente distinguendosi per entusiasmo e per ardimento. Comandante di distaccamento combatteva valorosamente per la liberazione di Alba. Precedeva i suoi uomini all’assalto contro un fabbricato organizzato a difesa nell’intento di indurre il difensore alla resa e cadeva nel generoso tentativo». Il suo nome è ricordato nella lapide collocata in corso Bixio ad Alba. Nella stessa città gli è stata intitolata una via, mentre nel paese natale gli è stato dedicato il belvedere all’ingresso del centro urbano.

Milia Valerio nato a Sassari il 29 ottobre 1927.
Studente, residente a Sassari, soldato. Fece parte della Resistenza a partire dal settembre 1944, quando entrò nella Brigata Oreste, Divisione Garibaldi “Pinan Cichero” ottenendo il grado di Commissario di distaccamento. “Valle”, questo il suo nome di battaglia, morì a Dova Superiore, frazione di Cabella Ligure (AL), il 14 marzo 1945, a causa di un incidente. Non sono state trovate altre informazioni.

Mossa Ottavio nato a Villagreca il 3 novembre 1923.
Figlio di Giuseppe e Marietta Pibiri, residente a Nuraminis, professione operaio. Venne ucciso a ventun anni il 4 novembre 1944 (secondo altre fonti il 4 dicembre) durante il rastrellamento avvenuto all’Aquila di Giaveno (TO) da parte dei tedeschi. Tumulato nell’Ossario dei Caduti Partigiani di Forno di Coazze.

Noce Domenico nato a Uri il 26 agosto 1920.
Residente a Uri, non sono presenti dati su una eventuale appartenenza alle forze armate. Entrò a far parte della 43^ Divisione autonoma, 6^ Brigata, subito dopo l’armistizio, già alla fine del settembre 1943. Morì il 9 luglio 1944 nel comune di Giaveno (TO), catturato e fucilato. Purtroppo non sono stati trovati altri dettagli.

Orrù Orazio nato a Orroli il 27 giugno 1919.
Residente a Orroli prima del conflitto, venne arruolato nella 28^ Squadriglia dell’Aeronautica come aviere. Dopo lo sbandamento dell’esercito seguito all’armistizio, fece parte, dal novembre 1944, della 20^ Brigata “Giustizia e Libertà” e, dal 16 aprile 1945 (pochi giorni prima della morte), della 21^ Brigata. Venne ucciso nella provincia di Cuneo il 23 aprile 1945, caduto in un’imboscata. Queste le parole della nipote Daniela Orrù, tratte da un articolo pubblicato su Democrazia Oggi: “Il giovane Orazio quel 25 aprile di settantacinque anni fa non festeggiò insieme agli altri partigiani.
La morte l’aveva preso appena due giorni prima nella campagna di Sant’Albano Stura (CN), per mano della “ronda dei Muti”. Così erano chiamati nella zona un gruppo di squadristi che agiva indisturbato, perpetuando violenze e sopraffazioni, tanto da arrivare ad ammazzare a sangue freddo un ragazzino la mattina del 23 aprile 1945. […]
Non era ancora un partigiano esperto, però l’ardire dei suoi ventisei anni lo indusse insieme ad altri tre compagni a tendere un agguato ai Muti. Fu un massacro; a nulla servì che Orazio si fingesse morto: fu finito dalle camicie nere a colpi di canna di fucile. Le mani pietose di una donna del posto ricomposero la sua salma, che solo trent’anni dopo poté ritornare a Orroli, il suo paese dove tuttora riposa. Qui lo ricorda una strada, che gli fu intitolata molti anni fa, anche se oggi solo i suoi compaesani più anziani ne conoscono il motivo. Io stessa ho potuto ricostruire parte di questa storia solo pochi anni fa“. Molto interessante anche la testimonianza del partigiano Luigi Mondini, riportata nel sito Terrasini Oggi che, senza citare il nome delle vittime, ricorda il tragico giorno: “A fine aprile 1945, a ridosso della Liberazione, un gruppo di circa una ventina di brigatisti neri e fascisti allo sbando, capeggiati dal famigerato tenente Rizzo di Trinità, tentò un piccolo rastrellamento a Montanera. Entrando in paese furono visti da un ragazzo diciannovenne, Antonio Olivero, che stava uscendo da un negozio di tabacchi. In preda alla paura questo giovane attraversò la strada per rifugiarsi nella casa di fronte dove abitava un sarto. Lì, i brigatisti lo uccisero sparandogli dalla finestra senza sapere neppure chi fosse. A quell’epoca a Montanera c’era un gruppetto di partigiani in “allevamento” cioè […] non ancora esperti in tattica della guerriglia. Avrebbero dovuto essere utilizzati nel momento finale della lotta di liberazione. Questi giovani, indignati per quanto era successo, presero da soli l’iniziativa e tesero un’imboscata ai brigatisti neri in località Ceriolo (frazione di Montanera) su una rada che conduce a Fossano, a un chilometro circa dal paese. Inesperti com’erano li affrontarono a viso aperto mentre avrebbero dovuto lasciarli passare e aggredirli alle spalle. Inoltre spararono a casaccio non centrando il bersaglio. Morirono in quattro.”». Una lapide posta lungo la strada che attraversa il paesino di Sant’Albano Stura celebra il sacrificio dei quattro partigiani: “Per l’onore e la libertà d’Italia caddero combattendo l’ultima battaglia”. Viale Bartolomeo, Orru Orazio, Bernardi Giovanni, Badalamente(i) Salvatore. 23 aprile 1945. Partigiani della 21ª BRIGATA CL P. BELLINO”.

Pilia Battista nato a Sadali il 20/12/1919.
Contadino, era residente a Sadali quando venne arruolato come soldato di fanteria. Dai pochi dati presenti in rete, dopo l’8 settembre sembrerebbe aver aderito prima alla Repubblica Sociale, Divisione San Marco, poi, a partire dal luglio 1944, alle formazioni partigiane di “Giustizia e Libertà”, nella 1^ Divisione Brigata “Valle Grana”. Morì il 10 ottobre 1944 nel comune di Valgrana (CN) e venne sepolto a Pradleves (CN). Non sono specificate le cause del decesso. A Sadali è stato intitolato un monumento in suo onore.

Pittau Livio nato a Fluminimaggiore il 1° settembre 1921.
Ragioniere, residente a Torino, studente universitario di Economia e Commercio. Nel maggio del 1944 entrò a far parte delle formazioni di Giustizia e Libertà, divisione C. Durante l’insurrezione del 26 aprile 1945, venne fermato in via Accademia Albertina da elementi della Brigata Nera mentre stava portando a termine una missione. Armato, tentò la fuga per evitare la perquisizione ma venne colpito da una pallottola di fronte all’ospedale del Sovrano Militare Ordine di Malta. Immeditamente soccorso dal personale sanitario che impedì la fucilazione sul posto, venne ricoverato in gravi condizioni. Nei giorni a seguire il direttore sanitario si oppose alla richiesta dei fascisti di consegnare il ferito. Morì due settimane dopo nonostante le cure. Gli verrà conferita la laurea ad honorem in Economia e Commercio. A Torino è ricordato in una lapide collocata al numero 14 di via Accademia Albertina.

Ponza di San Martino Filippo nato a Cagliari il 12 aprile 1906.
Membro di una nobile famiglia piemontese dalla lunga tradizione militare (il padre Alessandro era Tenente colonello dei Carabinieri Reali), raggiunse il grado di Capitano di fanteria. Dopo l’armistizio aderì alla Repubblica Sociale, nella Legione Subalpina, con il grado di Capomanipolo; probabilmente fu un’adesione di copertura perchè già dal 1° novembre 1943 risulta far parte della I Divisione Giustizia e Libertà con il grado di Ufficiale di collegamento. Interromperà questa militanza nel maggio del 1944 per poi ritornare tra le fila di Giustizia e Libertà, nella Colonna Gianni Alessandria, nel luglio 1944 e con essa confluirà nella X Divisione GL nel febbraio 1945. La sua cascina, a San Giuseppe di Castagnito, diventò la base di riferimento per gli antifascisti locali. Il 26 aprile 1945, nella fase iniziale dell’insurrezione della città di Cuneo, venne fermato al posto di blocco di Borgo Gesso dalle Brigate Nere e consegnato ai tedeschi. In via Roncata 95, luogo in cui è stato fucilato, è posto il cippo che lo ricorda: “Il mattino del 26-4-1945 fu qui trucidato dai nazi-fascisti in fuga il N.H. Filippo Ponza di San Martino, ufficiale ausiliario della X Divisione GL. Fermati un istante, o passeggero, e ascolta il muto ammonimento che discende dal Cielo di Dio, in cui egli respira, forte nel sacrificio che lo ha tolto alla Patria e alla mamma”. Alla sua memoria è stata concessa la Medaglia di bronzo al Valor Militare.

Raggio Luciano nato a Cagliari l’8 luglio 1928.
Arruolato in Marina, residente a Torino, aveva solo 16 anni quando, nel luglio 1944, entrò nella formazione partigiana della 43^ Divisione autonoma “Sergio De Vitis”, Brigata F. Gallo. Il 5 ottobre 1944 Rivalta fu teatro di un’imboscata fascista in cui persero la vita cinque partigiani: tra questi vi era anche il giovane sardo. L’eccidio avvenne in via Allende, angolo via Balma dove fu posta una lapide in ricordo del loro sacrificio: “Partigiani coraggiosi, primi fra i primi per la patria adorata fecero olocausto della loro giovane vita, qui stroncata dal piombo nazifascista in combattimento il 5-10-1944: Piol Agostino, Ferrero Giovanni, Ferrero Luigi, Magnetti Francesco, Raggio Luciano. Il vostro sacrificio supremo, o valorosi, non fu invano. La patria serberà di voi imperitura riconoscenza“.

Rosas Giacobbe nato a Sassari il 13 agosto 1917.
Residente a Noragugume (NU), entrò nelle formazioni partigiane nel dicembre 1943, nel 1° Gruppo Divisioni Alpine. Morì a Mondovì (CN) il 27 aprile 1944. Non è indicata la causa del decesso. Il suo nome è inciso nel monumento a ricordo dei Caduti della Val Casotto, nel comune di Pamparato (CN).

Salis Francesco nato a Jerzu il 4 dicembre 1921.
Sarto e radiotelegrafista, lavorò prima a Firenze e poi, allo scoppio della guerra, si trasferì in Piemonte, a Verzuolo, dove trovò lavoro in una fabbrica tessile. Dopo l’armistizio decise di dare il suo contributo alla lotta partigiana e aderì al distaccamento “Giuseppe Bottazzi” (che sarebbe poi diventato la 181ª Brigata della 11ª Divisione Garibaldi), con il nome di battaglia “Ulisse”. Nella notte tra il 5 e il 6 marzo 1945, nel territorio di Valmala (CN), scattò il rastrellamento da parte della 4^ Divisione alpina “Monterosa” dell’esercito della Repubblica Sociale. Una pattuglia di repubblichini, dopo aver percorso i boschi ricoperti di neve, giunse nei pressi del Santuario dedicato alla Madonna della Misericordia, sede del distaccamento partigiano, e sparò i primi colpi di artiglieria. I partigiani cercarono di fuggire ma, appena usciti, furono colpiti dal fuoco nemico. Il primo a morire nei pressi del pilone votivo fu Francesco Salis, ucciso con una raffica in pieno volto. Insieme a lui morirono altri otto partigiani, l’intero comando della brigata garibaldina: Ernesto Casavecchia, Giorgio Minerbi, Pierino Panero, Andrea Ponzi, Tommaso Racca, Alessandro Rozzi, Ivan Pavlovic Volhov e Biagio Trucco. Nei pressi del Santuario è presente una lapide a ricordare l’eccidio, mentre il comune natale di Francesco Salis, Jerzu, recentemente gli ha intitolato una piazza.

Selis Vincenzo nato a Dosmunovas il 6 febbraio 1889.
In alcune fonti viene indicato come civile, in altre come staffetta partigiana attiva nel Raggruppamento “Giorgio Davito” a partire dal 10 aprile 1944. Quel che è certo è che rimase vittima del grande rastrellamento avvenuto in Valchiusella tra il 13 e il 15 ottobre 1944. La colonna tedesca si spostò a Vico Canavese portando con sè cinque prigionieri che vennero fucilati al cimitero: Mario Garis e Gioachino Strazza (della brigata Mazzini di GL), Giuseppe Salmoirago (matteottino), Augusto Pinet e Vincenzo Selis, catturato a Brosso dove si era recato per incontrare il figlio Bruno Selis, partigiano delle formazioni Matteotti. L’operazione fu ordinata da Kesselring, che aveva ritirato alcune divisioni dalla Linea Gotica per concentrarsi su determinate zone dove la Resistenza era più forte: tra queste c’era il Canavese.

Serra Eulalio nato a Goni il 18 novembre 1916.
Le informazioni sul suo conto sono molto scarse. Risulta aver fatto parte della formazione partigiana “Brigata Moro” dal luglio 1944 al maggio 1945. Non viene indicata neanche la causa del decesso.

Sotgia Lelio nato a Bosa il 12 agosto 1925.
Residente a Milano, figlio di Iolanda Piana e Alfredo. Fece parte della 2^ Divisione Garibaldi Redi, Brigata “Rocco” Volante Azzurra. Caduto a Meina (NO) il 4 settembre 1944 durante un assalto a un presidio tedesco. Il suo sacrificio è ricordato nella lastra dedicata “Ai Caduti per la Libertà” in piazza dei Mercanti a Milano e a Novara.

Urru Salvatore nato a Belvì il 1° gennaio 1918 (o 21 novembre 1918 secondo altre fonti).
Figlio di Gemiliano e Francesca Gioi, venne richiamato alle armi come geniere ferroviario e tale rimase fino all’armistizio. A partire dal maggio 1944 si unì alla Divisione Matteotti “Giorgio Davito”, che operava nel Canavese e nelle Valli di Lanzo. Al termine del conflitto, nel raggruppamento “Davito” si conteranno 214 morti: tra questi anche Salvatore Urru che venne fucilato dai nazifascisti nella piazza di Ivrea il 17 novembre del 1944. [Alcune informazioni sono state tratte dalla pagina Facebook Barbagia-Mandrolisai].

Zurru Luigi nato ad Arbus il 25 aprile 1917.
Luigi (Gino) Zurru fin da bambino risiedeva a Iglesias. Arruolato dal 1936 in Aeronautica come volontario, era un sergente maggiore quando si paracadutò nell’agosto del 1944 nella zona di Tonengo, frazione del Comune di Mazzè. Qui venne soccorso e nascosto da Angelo Boero, giovane partigiano della 4^ Divisione Garibaldi, che lo ospitò a casa dei suoi genitori. Tra i due nacque un’amicizia fraterna che li avrebbe accompagnati fino alla morte. Da settembre di quell’anno anche Zurru, con il nome di battaglia “Pachito”, entrò nella Resistenza, nella formazione partigiana di cui faceva parte Angelo. La sera del 5 gennaio del 1945, i due amici, nonostante la neve copiosa, da Tonengo passando da Mazzè si recarono a Villareggia per incontrare le loro fidanzate. Sulla via del ritorno, intorno alla mezzanotte, furono intercettati e arrestati dai militi fascisti del RAP, i repubblichini del Reparto Anti-Partigiani. Vennero portati nel piazzale della Chiesa dove, dopo interrogatori e torture, furono fucilati. Sarà il padre di Angelo, Pietro Boero, a trasportare sul suo calesse i corpi martoriati del figlio e del suo amico “Pachito”. Ai funerali partecipò l’intera popolazione; i due partigiani furono sepolti insieme in un’unica fossa nel cimitero di Tonengo. Nel 1946 la salma di Luigi Zurru venne traslata in Sardegna per volontà della sorella Teresa che aveva ricevuto comunicazione dal sindaco di Mazzè. Sul muro dove Zurru e Boero sono stati fucilati è stata apposta una lapide che ricorda il loro sacrificio. [Ricerca effettuata da Marco Sini, tratta dalla pagina Facebook A.N.P.I. Iglesias].



Fonti principali:

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