Elenco nomi: Partigiani sardi nel Triveneto
Link parte 2: Cognomi Caduti dalla G alla P
Link parte 3: Cognomi Caduti dalla S alla Z
In questa pagina sono presenti le schede biografiche dei partigiani sardi (cognomi dalla A alla F) caduti nel Triveneto.
Con ogni probabilità non compaiono tutti i combattenti che persero la vita durante la Resistenza, ma soltanto quelli i cui nomi sono stati individuati esaminando le varie fonti online e cartacee. Si è partiti analizzando gli elenchi presenti nella banca dati della “Commissione regionale triveneta per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano” e, attraverso l’incrocio con altre fonti, si è arrivati a ricostruire le biografie dei caduti in modo più o meno dettagliato.
Le schede comprendono, di norma, i dati biografici essenziali e, ove possibile, la storia del combattente e la causa del decesso. Si ricorda che nel caso il lettore fosse a conoscenza di ulteriori dettagli, nei commenti alla pagina potrà integrare o chiedere di modificare eventuali inesattezze che, vista la natura della ricerca, sicuramente non mancheranno. Sarebbe molto interessante poter ampliare almeno le biografie più scarne, possibilmente con l’aggiunta delle foto mancanti, in modo da ricordare le gesta e ridare un volto a questi uomini troppo spesso dimenticati.
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Cognomi dalla A alla F
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– Ardu Mario, figlio di Assunta Piludu e Gaetano (capostazione), nacque a Lanusei (NU) il 4 dicembre 1905.
Terminato il servizio di leva, decise di intraprendere la carriera militare arruolandosi, dapprima, come soldato volontario nel reparto artiglieria pesante e frequentando poi, in qualità di sergente, la scuola di addestramento per l’artiglieria pesante a Nettuno e un corso di specializzazione sugli esplosivi a Piacenza. Nel 1935 fu trasferito nel veronese come sottoconsegnatario del deposito munizioni ed esplosivi del Forte San Briccio, di cui divenne presto comandante. Nel bel mezzo del conflitto mondiale, Ardu in qualità di maresciallo fu posto al comando del deposito munizioni presente nella periferia di Verona, nella zona del Lazzaretto. Con l’armistizio di Cassibile e l’esercito allo sbando, anche Ardu lasciò la divisa militare e diede inizio alla sua avventura partigiana.
Come indicato nella sua scheda personale, a partire dall’aprile 1944 si arruolò nelle formazioni della Brigata Manara, precisamente nel Battaglione Gian Dalla Bona che operava nel territorio di Verona. In qualità di consigliere militare fece parte del 2° CLN veronese. Il 9 luglio 1944, sorpreso durante un’azione di sabotaggio nel deposito munizioni del Lazzaretto, fu tratto in arresto dalle Brigate Nere e incarcerato prima presso il Palazzo INA (sede del Comando Generale SS e Polizia di Sicurezza) e poi nel Carcere giudiziario degli Scalzi a Verona. Trasferito temporaneamente nel Campo di concentramento e transito di Bolzano, venne deportato nel Campo di concentramento di Flossenbürg con il “trasporto n. 81” assieme ad altri 431 prigionieri. Il convoglio partì da Bolzano il 5 settembre 1944 e arrivò a destinazione due giorni dopo.
Nel campo di Flossenbürg venne identificato come deportato per motivi politici e gli venne assegnata la matricola n. 21672. Il 30 settembre 1944 fu trasferito a Hersbruck (uno dei campi satellite di Flossenbürg), dove morirà il 2 dicembre dello stesso anno, vittima di un esperimento medico compiuto dai nazisti. Drammatica la testimonianza del sassarese Vittore Bocchetta, compagno di prigionia, che nel libro “’40-’45 Quinquennio infame” descrisse gli ultimi attimi di Ardu:
“-Mario, Mario, guardami che cosa succede? Ardu?- Non mi sente, non mi riconosce, non è in sé, poi mi rendo conto dell’esperimento: ha una gamba scuoiata, gli è stata tagliata la pelle […]. Ad un tratto il poveretto rompe in urla sconnesse e cerca di muoversi, cade, grida parole gutturali e incomprensibili. Cerco di sorreggerlo e lo chiamo con tenerezza, ma il volto ha perso ogni espressione (ricordo che parlava con gli occhi). Di schianto, smette di gridare, si affloscia inerte, muore”.
Oggi il maresciallo Ardu riposa nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno.
– Busonera Flavio, figlio di Giovanna Angela Crabai e Francesco (negoziante), nacque a Oristano il 28 luglio 1894. Dopo aver completato gli studi liceali a Cagliari, con lo scoppio della Grande guerra venne chiamato alle armi e si congedò col grado di tenente dei bombardieri. Nel dicembre del 1921 si laureò in medicina all’Università di Cagliari con la tesi dal titolo “Malaria e lotta antimalarica con speciale riguardo alla Sardegna”, e diede avvio alla professione come medico condotto a Sarroch. Partecipò attivamente alle battaglie politiche del dopoguerra manifestando apertamente le sue idee (fu dapprima socialista poi, conosciuto Gramsci, si avvicinò al Partito Comunista e fu tra i fondatori del PCI cagliaritano), subì un processo e venne rimosso dal grado di tenente di complemento per “manifestazione pubblica di un’opinione ostile alla istituzione fondamentale dello Stato”. Perseguitato dai fascisti, decise di lasciare la Sardegna per il continente. Per un breve periodo visse a Claut, piccolo paese del Friuli Venezia Giulia, e nel 1926 si trasferì in Veneto, a Cavarzere, dove continuò a esercitare la professione medica distinguendosi per la sua grande umanità e generosità. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, allacciò i contatti con alcune formazioni partigiane locali e partecipò attivamente al CLN di Cavarzere.
Durante la guerra di Liberazione ritornò nelle file del partito socialista e diventò commissario politico della Brigata “Venezia”. Il contributo di Busonera alla lotta antifascista fu notevole: suo era il compito di organizzare il rifornimento di armi e viveri per i partigiani della zona, partecipò alla costituzione di nuove bande, aiutò i soldati alleati ricercati dai nazifascisti. Ma Busonera era innanzitutto un medico e la sua presenza nelle bande del territorio fu preziosa per la cura dei feriti e degli ammalati. Sarà proprio questa sua qualità a farlo cadere nella trappola dei fascisti.
Il 27 giugno del 1944, fingendosi partigiani, due brigatisti neri leggermente feriti chiesero aiuto al medico per essere curati. Stabiliti i rapporti tra Busonera e la Resistenza, i fascisti lo arrestarono e il medico venne rinchiuso nel carcere Paolotti a Padova per circa 2 mesi. La famiglia si attivò per ottenere il rilascio, le formazioni locali pensarono di liberarlo con un colpo di mano alle carceri, ma tutto rimase in sospeso fino al 17 agosto 1944, quando Flavio Busonera venne impiccato per rappresaglia e senza processo a seguito della morte di Fronteddu, colonnello fascista di origini sarde.
La rappresaglia, voluta non dai tedeschi ma dagli italiani, non ebbe in realtà nessun vero legame con la morte del colonnello essendo questo stato ucciso da sicari provenienti dall’ambiente fascista, probabilmente a causa di gelosie per una donna contesa. Ciò nonostante all’omicidio fu attribuita una motivazione politica e i fascisti, per dare l’esempio, fucilarono 7 uomini (Luigi Pierobon, Cataldo Pressici, Primo Barbiero, Franco Panella, Saturno Bandini, Antonio Franzolin e il sardo Pasquale Muolo) e ne impiccarono altri 3, Clemente Lampioni, Ettore Calderoni e Flavio Busonera. I fascisti costrinsero gli studenti dell’Università ad assistere all’impiccagione; alcuni di essi si accorsero che il boia tremava e sentirono Busonera dirgli: “Tu tremi, io no”. Poi gridò : “Viva l’Italia! Viva il socialismo!“. La corda utilizzata per l’impiccagione era troppo lunga e purtroppo le tre vittime non morirono subito perché poterono appoggiare i piedi a terra. Ci pensarono i carnefici a soffocarli, spingendoli con forza verso il basso.
Come monito per la popolazione, quei corpi straziati furono lasciati per lungo tempo esposti agli sguardi dei passanti.
Qualche giorno dopo apparve a Padova un manifesto con la frase: “-Perchè tremate, domandò al boia, io non tremo! Mettete bene il laccio-. Nella stretta del capestro l’ultima sua voce fu per gridare: -Viva l’Italia!– Padovani, voi non dimenticherete”.
Sul luogo del tragico evento, in via Santa Lucia a Padova, una lapide ricorda l’eccidio.
Flavio Busonera fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Durante la lotta di liberazione si distingueva per patriottica attività, arditamente svolta a favore dei partigiani. Tratto in arresto manteneva durante i lunghi interrogatori e nella dura prigionia, contegno nobile ed esemplare. Sacrificato alla rappresaglia tedesca, affrontava con fierezza il capestro, incoraggiando fino all’ultimo i compagni di martirio e sacrificando la vita agli ideali di Libertà e di Patria che aveva sempre servito. Padova 17 agosto 1944”.
Scrisse l’ultima lettera alla moglie il giorno dell’esecuzione, inconsapevole di ciò che sarebbe avvenuto.
Mia cara Maria,
ti comunico che in questi giorni ci trasferiranno al carcere penale ove dicono che ci siano molte minori possibilità di comunicazione e di ricevere roba da fuori. Pertanto cerca di farmi avere notizie a mezzo di padre Carella. Io di salute sto benissimo e non mi dispero, solamente non vedo l’ora di potervi riabbracciare tutti e speriamo che il tempo non sia molto lontano. Non scoraggiarti ed abbi forza d’attendere e fede in giorni migliori. Spero al prossimo colloquio di vedere Gianni che è il solo che non ho ancora visto durante la mia permanenza in carcere. Ho ricevuto il sapone, il filo, il dolce, il vino e le sigarette e ti ringrazio infinitamente di tutto. Per ora non mi occorre altro tranne il solito dolce se ti sarà possibile farmelo avere. Ti rimando le tue lettere che ho paura che mi trovino ma ti prego caldamente di conservarmele. Raccomando a tutti i figli, specie a Giannina e Maria Teresa, di essere ubbidienti a te in tutto e d’ascoltarti senza discutere. Ringrazio infinitamente Giuseppina di tutto e salutala tanto per me, come pure la Rina.
A te, Giannina, Gianni, Maria Teresa, Francesco, infiniti baci.
Vi ho sempre nel cuore e vi penso continuamente. Ciao Maria cara, infiniti bacioni ed arrivederci presto.
Tuo Flavio.
– Cabriolu Puddu Giovanni, figlio di Maria Puddu e Giuseppe, nacque a Esterzili (SU) il 14 novembre 1906.
Conclusi gli studi liceali con il conseguimento del diploma, si arruolò nell’Arma dei Carabinieri Reali e, con lo scoppio della guerra, fu inviato in Albania dove ottenne la croce di guerra con la seguente motivazione: “Durante un violento attacco di preponderanti forze ribelli a un nostro presidio, assumeva di iniziativa il comando della difesa di un posto fortemente impegnato. Coordinando l’azione di fuoco dei dipendenti e infondendo loro fiducia e coraggio, riusciva a mantenere il possesso della difficile posizione. Esempio di ardimento e di alto sentimento del dovere. – Pljevlje 1-2 dicembre 1941”. Agli inizi del 1942, fu posto al comando della caserma di Bassano del Grappa in qualità di maresciallo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, si distinse per lo spirito di solidarietà verso la popolazione e per la mancanza di collaborazione nei confronti dei tedeschi. Fu proprio questo il motivo che causò il suo trasferimento al piccolo centro di Barbarano Vicentino assieme alla famiglia nell’ottobre del 1943. Lo spostamento forzato, però, non incise sul comportamento del maresciallo che nonostante le continue minacce dei nazifascisti continuò nella sua instancabile lotta a difesa della popolazione. La sua scheda personale attesta che in questo periodo, a partire da ottobre, Cabriolu Puddu fece parte della formazione partigiana “Brigata Argiuna”, Divisione Vicenza.
Il maresciallo venne arrestato nell’aprile del 1944 e portato nella prigione di Vicenza, per poi essere trasferito momentaneamente nel campo di concentramento di Bolzano. Da qui il lungo viaggio verso la Germania, dove fu internato nel lager di Dachau e posto ai lavori forzati. Morì in prigionia nel 1945.
– Campus Pietro Maria, figlio di Luigia Sanna e Stefano, nacque a Pattada (SS) il 17 gennaio 1920. Nome di battaglia “Rino”.
Come indicato nella sua scheda personale, Campus fece parte della “Divisione Garibaldi Natisone” dal 15 marzo 1944 al 21 maggio dello stesso anno, data della sua morte.
Questa formazione partigiana operò in Friuli e, a partire dal 1944, anche in territorio jugoslavo.
Due comandanti partigiani, Giacuzzo e Scotti, nel libro “Quelli della montagna” descrivono le imprese del Battaglione d’assalto “Trieste” facente parte dell’omonima brigata partigiana “Garibaldi”. In un capitolo intitolato “Arrivano i sardi”, i due autori raccontano l’ingresso nella formazione, verso la fine del gennaio 1944, di 54 militari provenienti dalla Sardegna che avevano disertato Salò [al termine del conflitto i sardi presenti in questa Divisione saranno un centinaio]. Scrivono Giacuzzo e Scotti: “Tutti si dimostrarono in seguito ottimi combattenti, convalidando la scelta fatta con il sacrificio della propria vita. Non è possibile ricordarli tutti, ma alcuni nomi di caduti restano impressi nella memoria“. Tra i combattenti che persero la vita viene citato anche “Pietro Maria Campus di Orgosolo“, con molta probabilità si tratta dello stesso partigiano.
Sempre Giacuzzo descriverà, insieme a Mario Abram, la vicenda riguardante la morte di Campus nel libro: “Itinerario di lotta, cronaca della Brigata d’assalto Garibaldi – Trieste”.
Campus faceva parte di una “caraula”, termine italianizzato della parola slovena “karaula” indicante un posto di guardia dove sono in forza gruppi di uomini, corrieri o staffette, che dipendono da un centro specializzato per i collegamenti da un settore all’altro. Il 20 maggio 1944 la “caraula n. 3” del settore di Ranziano, di cui faceva parte Campus, venne scoperta e attaccata da una colonna tedesca impegnata in un’azione di rastrellamento nella zona. Caddero sotto le raffiche Giuseppe Cucchiara, Pietro Maria Campus, Zvonimir Saksida e i componenti della famiglia che li ospitava, Joze e Angela Mozetiè, con la figlia Angela. I loro corpi bruciarono nella casa data alle fiamme. Il capo caraula Armando Romualdi e il giovane corriere Mario Agostinelli vennero catturati per poi essere giustiziati; si salvò solo Battista Borio che riuscì a nascondersi.
Le spoglie di Campus vennero tumulate a Ranziano.
– Carboni Giuseppe, figlio di Anna Secci e Sebastiano, nacque a Tonara (NU) il 28 dicembre 1919.
Pochissime le informazioni trovate.
Lasciata la divisa militare dopo l’armistizio, come indicato nella sua scheda personale fece parte della “Divisione Garibaldi Natisone”, in qualità di caposquadra, dal 10 settembre 1943 al 10 febbraio 1944 data della sua morte.
Carboni perse la vita in un combattimento avvenuto a Lipa, città della Slovenia. Nello scontro morì anche un altro partigiano sardo, Sebastiano Sanna di Bitti. Il corpo di Carboni venne sepolto a Lipa.
– Caria Antonio, figlio di Luigi, nacque a Villasimius (SU) il 3 febbraio 1923.
Come indicato nella sua scheda personale, anch’egli come tanti suoi corregionali fece parte della “Divisione Garibaldi Natisone”. Militare sbandato dopo l’armistizio di Cassibile, entrò nella Brigata il 10 settembre 1943 e vi rimase fino al 28 febbraio 1945, data della sua morte. Morì a Malenski, oggi in territorio sloveno, non sono note le circostanze del decesso. La Banca dati dei caduti del Ministero della Difesa conferma come luogo di morte la Jugoslavia.
Purtroppo non sono state trovate altre informazioni.
– Casu Ferruccio nato in provincia di Cagliari.
Sappiamo solo che divenne partigiano combattente nell’ottobre 1943, quando entrò nella “Divisione Garibaldi Natisone” operante nel territorio del Friuli Venezia Giulia e successivamente in terra jugoslava. Perse la vita il 20 marzo 1945 a Gradiscutta, frazione del comune di Nova Gorica, e qui fu tumulato.
– Cherchi Battista, figlio di Rosa Melis e Giovanni, nacque a Pabillonis (SU) il 7 agosto 1927.
Anche Cherchi fu uno dei tanti soldati che dopo l’8 settembre lasciarono la divisa e diedero il loro contributo alla Resistenza. La scheda personale redatta dalla “Commissione regionale Triveneta per il riconoscimento della qualifica di partigiano” attesta che Cherchi fece parte della “Divisione Garibaldi Natisone” dal 15 giugno 1944 e fino al 1° aprile 1945, data della sua morte. Perse la vita a Predmejs, nell’attuale Slovenia, dove fu sepolto.
Anche in questo caso la mancanza di informazioni più dettagliate ci impedisce di ricostruire la storia del combattente.
– Coccu Ciriaco, figlio di Giuseppe, nacque a Bitti (NU) il 27 febbraio 1924. Nome di battaglia “Balosso”.
Pochissime le notizie sul suo conto.
Sappiamo che anche Coccu, militare sbandato, dopo l’armistizio fece parte della Divisione d’Assalto “Garibaldi Natisone” operante in Friuli Venezia Giulia e in territorio jugoslavo.
Morì il 4 marzo 1945 a Boric Vipacco, in Slovenia (e qui sepolto), torturato fino alla morte dai nazisti.
Il suo nome viene menzionato nel libro “Quelli della montagna” di Giacuzzo e Scotti.
– Congiargiu Carmine, figlio di Grazia Mattei e Salvatore, nacque a Orgosolo (NU) il 13 luglio 1922. Nome di battaglia “Cervo”.
La sua scheda personale indica l’appartenenza alla “Divisione Garibaldi Natisone” già dal settembre 1943 ma, probabilmente, si tratta di un errore di trascrizione, ripetuto, tra l’altro, anche per la data di morte.
E’ necessario ricordare che la formazione friulana contava al suo interno la presenza di un centinaio di combattenti sardi, la gran parte giovani militari mobilitati dalla Repubblica di Salò che avevano disertato le file del battaglione dislocato a Opicina, vicino Trieste.
Anche Congiargiu, come attestato dalla Banca dati del Ministero della Difesa, prima dell’ingresso nella Brigata era un soldato dell’esercito italiano.
Anche se non possiamo ricostruire nel dettaglio la sua storia, è certo che Congiargiu fu uno dei protagonisti dell’operazione a Ronchi dei Legionari preparata dal comandante del “Battaglione triestino d’assalto” Remo Lagomarsino e dal vicecomandante Riccardo Giacuzzo. A questa impresa parteciparono sei ragazzi sardi.
La spedizione ebbe inizio la notte del 3 febbraio 1944, quando 22 volontari guidati da Giacuzzo e armati di due fucili mitragliatori (uno dei quali sottratto ai nazisti durante un combattimento), bombe a mano e numerose bottiglie incendiarie si incamminarono in direzione Merna. Dopo 25 km di dura marcia, il gruppo arrivò all’obiettivo: il campo di aviazione di Ronchi, dove sostavano gli aerei tedeschi “Junkers” carichi di bombe. Due uomini sistemarono le mitragliatrici ai lati del campo, protetto da un fosso colmo d’acqua largo circa tre metri, mentre gli altri si addentrarono nella pista buia, saltando il fossato. Ogni aereo venne raggiunto da due uomini che, aperta la porta della carlinga, lanciarono quasi simultaneamente le Molotov e le bombe a mano all’interno degli apparecchi. Nel frattempo, i mitraglieri partigiani aprirono il fuoco per coprire la ritirata dei compagni dall’attacco dei tedeschi che, colti di sorpresa, iniziarono a sparare all’impazzata. L’impresa fu un successo: quattro aerei distrutti e altri quattro danneggiati, il fatto fu talmente eclatante da essere menzionato anche da Radio Londra e Radio Mosca. Purtroppo la formazione pianse la perdita di due ragazzi, tutti e due sardi: Salvatore Piras e Carmine Congiargiu.
I due partigiani, dopo essere stati feriti in modo molto grave durante la fuga, rimasti isolati cercarono di attraversare il fiume Dottori che scorreva lì vicino per mettersi in salvo sull’altra sponda, ma la piena dell’acqua li trascinò via. Qualche giorno dopo, i loro corpi vennero ritrovati incastrati in una chiusa alla foce del canale e furono sepolti dagli abitanti di Ronchi, nonostante il pericolo di rappresaglie da parte dei fascisti.
Il volto di questo eroe, oggi, è ritratto in un murale a Orgosolo, che ha dedicato al suo concittadino anche una via.
– Cossa Antonio Angelo, figlio di Margherita Pudda e Giovanni, nacque a Bultei (SS) il 4 gennaio 1921. Nome di battaglia “Remmit”.
Anche in questo caso, l’unica informazione certa riguardante il periodo precedente all’ingresso nelle formazioni partigiane è che Antonio Cossa era stato un soldato dell’esercito italiano. Dopo l’armistizio fece parte della “Brigata Garibaldi -Ippolito Nievo B-” a partire dal gennaio del 1944 e fino al 2 dicembre 1944, data della sua morte a seguito dell’eccidio di Blessaglia.
La strage, che costò la vita a 8 partigiani (di cui due sardi), si svolse in due giorni differenti, il 27 novembre e il 2 dicembre, e fu la risposta nazifascista a un tentativo di sabotaggio da parte della brigata “Ippolito Nievo B”. La sera del 24 e del 25 novembre, un gruppo di partigiani fece brillare due mine sui ponti di Blessaglia (VE) causando lievi danni ma provocando un ampio rastrellamento che portò alla cattura di 5 combattenti (Michail Zinovski, Giodo Bortolazzi, Casimiro Zanin, Flavio Stefani, Giuseppe De Nile) e al ferimento -o uccisione secondo altre fonti- di un sesto uomo (il sardo Bachisio Pau). I partigiani, con le corde al collo e irriconoscibili per le torture subite, furono fatti sfilare davanti alla folla impietrita, costretta ad assistere sotto la minaccia delle armi. Dopo la benedizione di don Luigi Peressutti, che tentò invano di liberare le povere vittime, i partigiani furono impiccati ai platani che costeggiavano la via Postumia a Blessaglia. I corpi, per ordine dei tedeschi, rimasero esposti fino al pomeriggio del 29 novembre e vennero infine staccati e distesi con la faccia a terra perchè non degni di rivolgere gli occhi al cielo. Trasportati al cimitero di Pramaggiore (VE), furono sepolti nella fossa comune numero 260.
Nel frattempo, nella frazione di Belfiore, vennero arrestati altri due partigiani, Antonio Cossa e Alfredo Fontanel. I due furono prima torturati presso il comando tedesco di Pravisdomini e poi impiccati a Blessaglia il 2 dicembre, in quegli stessi alberi dove avevano trovato la morte i loro compagni. I corpi di Cossa e Fontanel rimasero appesi, come monito alla popolazione, fino al 4 dicembre, quando vennero trasportati al cimitero e sepolti.
Sul luogo dell’eccidio è stata posta una lapide commemorativa, una roccia con incisi i nomi dei martiri di Blessaglia e i versi di una poesia di Ungheretti:
“Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perchè tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce”.
– Cuccu Giuseppe, figlio di Assunta Corda e Raimondo, nacque a Orgosolo (NU) il 12 agosto 1923. Nome di battaglia “Barbarossa”.
Grazie alla scheda personale redatta dalla “Commissione regionale triveneta per il riconoscimento della qualifica di partigiano” scopriamo che dopo l’armistizio, Cuccu entrò a far parte della “Divisione Garibaldi Natisone”, operante nel Friuli Venezia Giulia e poi in territorio jugoslavo.
Morì il 25 maggio 1944 a Ranziano, comune sloveno, ucciso da fascisti italiani.
Cuccu era un portaordini che quel giorno ebbe il compito di accompagnare al comando di brigata alcuni prigionieri fascisti che avevano espresso l’intenzione di unirsi ai garibaldini. Durante il tragitto questi lo colpirono a morte, riuscendo così a fuggire. Fu sepolto a Ranziano.
Anche Cuccu prima di partecipare al movimento di Liberazione era stato un militare, uno dei tanti giovani sardi che guidati dall’orgolese Luigi Podda decisero di disertare da Salò.
Il suo sacrificio è ricordato in un murale a Orgosolo, suo paese natale che gli ha dedicato anche una via.
– Daga (o Dagas) Giuseppe [da identificare]
Il suo sacrificio venne ricordato dall’orgolese Luigi Podda, compagno di lotta nella “Divisione Garibaldi Natisone”. Daga, appartenente alla “Brigata Fontanot”, perse la vita nel febbraio 1945 in Slovenia.
Purtroppo al momento non si hanno altre informazioni.
– Deiana Antonio, figlio di Agostina Pisu e Vincenzo (contadino), nacque a Tertenia (NU) il 24 marzo 1909.
Incrociando i dati di varie fonti si è potuta ricostruire, seppur parzialmente, la sua storia. Militare, residente a Ronchi dei Legionari (GO), nel 1937 si sposò con Lucia Manian da cui ebbe un figlio.
Dopo l’armistizio di Cassibile, Deiana entrò a far parte della “Divisione Garibaldi Natisone” nel gennaio 1944, come indicato nella sua scheda personale, e ufficialmente vi rimase fino al 15 aprile 1945, quando venne dichiarato disperso.
Grazie alla consultazione dei documenti custoditi nell’archivio tedesco Arolsen, sappiamo che fu arrestato il 24 maggio 1944 a Ronchi. In quel giorno, nel comune friulano ci fu un imponente rastrellamento condotto dalle truppe tedesche e dai repubblichini italiani della “Banda Colotti”, nota per la sua lotta anti-partigiana. Alle 5 del mattino i nazifascisti giunsero nel paese, irruppero nelle case dei partigiani e dei loro collaboratori e prelevarono 68 persone caricandole sui camion; tra loro vi era Antonio Deiana che allora abitava lungo il viale dedicato al Principe Umberto. Su disposizione della Sipo di Trieste (polizia di sicurezza), il 31 maggio i prigionieri furono trasferiti in Germania con il “trasporto n. 48”, avente destinazione il campo di concentramento di Dachau. Deiana fu internato nel lager il 2 giugno, con il numero di matricola n. 69620. All’interno del campo dichiarò come professione quella di “costruttore di aerei”.
Da allora non si ebbero più notizie.
– Delogu Giorgio, figlio di Giovanni, nacque a Bitti (NU) il 3 Dicembre 1924. Nome di battaglia “Lucertola”.
Anche Delogu fece parte della nutrita schiera di militari sardi che, dopo lo sbandamento dell’esercito, decisero di operare nella “Divisione Garibaldi Natisone”. Il 25 aprile 1944, a Osek, frazione di Nova Gorica oggi in territorio sloveno, il comando di brigata mandò una parte dei novizi accompagnati da staffette esperte in pianura, per prelevare dai magazzini dei comitati della 3^ zona armi e vestiario. La pattuglia, ancora inesperta e in gran parte disarmata, venne intercettata da autoblindo tedesche all’altezza del villaggio di Osek, in un grande spiazzo. All’avvicinarsi dei mezzi, invece di disperdersi e trovare un rifugio, i partigiani più inesperti si misero a correre allo scoperto, diventando facile bersaglio per le mitragliatrici tedesche. Undici ragazzi rimasero sul terreno, tra loro anche Giorgio Delogu.
– Erriu Angelo, figlio di Maria Valdes e Antonio, nacque a Senorbì (SU) il 9 febbraio 1924.
Pochissime le informazioni trovate.
La scheda personale redatta dalla “Commissione regionale Triveneta per il riconoscimento della qualifica di partigiano” attesta che Erriu, abbandonata la divisa militare, fece parte della “Divisione Garibaldi Natisone” a partire dal settembre del 1944 e fino a gennaio 1945, probabilmente data in cui venne dichiarato disperso. Secondo i dati del Ministero della Difesa, il luogo di morte (o di dispersione) sarebbe l’Italia.
Nel dicembre del 1971, il Comitato Internazionale della Croce Rossa su invito del Ministero della Difesa fece una richiesta scritta agli archivi del S.I.R. (centro di documentazione e ricerca sulle vittime delle persecuzioni naziste) nella speranza di poter trovare nuovi fascicoli che potessero far luce sul destino del disperso. Nel documento si ipotizzava un possibile arresto di Erriu da parte delle forze armate tedesche nel settembre del 1943, a Milano.
La risposta fu negativa.
– Falchi Antonio, figlio di Antonio Giuseppe, nato a Mores o a Mara (SS). Nome di battaglia “Maras”.
[Potrebbe essere il militare Falchi Antonio Andrea nato a Mara il 18 febbraio 1918, dati da verificare].
Entrò nella “Divisione Garibaldi Natisone” nell’ottobre del 1943 e vi rimase fino al 23 aprile 1944, probabilmente data della sua morte.
In quei giorni, la Compagnia staccata a Ranziano, piccolo centro della Slovenia, fu improvvisamente attaccata dalle forze nazifasciste. Protetti dal fuoco della mitragliatrice in mano al partigiano Basile, tutti gli uomini riuscirono a raggiungere il bosco vicino trovando riparo. Il mitragliere, incurante del pericolo, continuò a sparare fino a che venne falciato da una raffica nemica, cadendo a terra esamine. Anche il porta munizioni venne gravemente ferito: catturato dai tedeschi e caricato su una barca, durante l’attraversamento del fiume Vipacco imbracciò i fucili presenti sul fondo dell’imbarcazione e si gettò in acqua, consapevole che non sarebbe mai più risalito. Questo ragazzo era il giovane sardo Antonio Falchi.
– Fancello Mauro Antonio, figlio di Giovanna Larzedda e Giovanni, nacque a Bitti (NU) il 27 ottobre 1924.
Fu uno dei tanti soldati sardi sbandati che entrarono a far parte della “Divisione Garibaldi Natisone” operante nel Friuli e, sul finire del 1944, nel territorio jugoslavo. Secondo le informazioni riportate sulla scheda personale, Fancello fece parte della formazione partigiana dal 23 maggio 1944 al 23 marzo 1945. Fu dichiarato disperso in combattimento sul monte Blegos, nel Comune di Škofja Loka, attualmente parte della Slovenia.
In queste terre, l’evoluzione del fronte di guerra nei Balcani indusse i nazisti a una cruenta offensiva per garantirsi una via di fuga verso la Germania. A farne le spese furono le popolazioni locali e i partigiani delle due nazionalità, in particolar modo i combattenti della “Divisione Garibaldi”, duramente colpiti dalla violenza nemica.
Nel 1977 il Comitato internazionale della Croce Rossa inviò agli archivi del S.I.R. Arolsen una richiesta scritta per avere informazioni sul disperso, ipotizzando la cattura di Fancello da parte delle forze armate tedesche e il successivo trasferimento in Germania. Anche in questo caso la risposta fu negativa.
Di lui non si seppero altre notizie.
– Farina Mario, figlio di Domenica Spano e Antonio, nacque a Olbia il 2 febbraio 1926.
Dopo l’armistizio di Cassibile, anche Farina abbandonò la divisa militare per prendere parte alla guerra di Liberazione dal nazifascismo. Membro dei Gruppi d’azione patriottica, entrò nella “Divisione Garibaldi Natisone” nell’ottobre del 1943, a soli 17 anni, e vi rimase fino al 27 marzo 1945, presumibilmente data della sua morte. La sua scheda personale riporta che il decesso avvenne in seguito a un combattimento avvenuto a Staranzano, piccolo centro del Friuli Venezia Giulia.
Secondo varie fonti, Farina si trovava insieme a Bernardino Ruiu (nome di battaglia “Mignolo”) quando venne ucciso.
Di ritorno da una missione, i due partigiani entrarono in un bar e lì furono sorpresi da una pattuglia di tedeschi che, sospettata la loro appartenenza al movimento di Liberazione a seguito di una delazione, li mise spalle al muro e iniziò la perquisizione alla ricerca di prove. Approfittando di un momento di distrazione, ben conscio che quell’arresto avrebbe significato morte certa, Ruiu riuscì a togliere la pistola nascosta all’interno dello stivale e, con l’arma in pugno rivolta verso i tedeschi, scappò via insieme al suo compagno. Nello scontro a fuoco rimasero a terra quattro vittime: Mario Farina, colpito a morte dai nazisti, e tre nazisti, colpiti a morte da Bernardino Ruiu.
Oggi Farina è ricordato da una targa a Staranzano e da una via a Olbia.
Fonti principali:
– Il ricordo di Vittore Bocchetta, dal sito: “Il Risveglio della Sardegna“;
– Elenco caduti Cimitero militare Francoforte sul Meno, dal sito: “Pietre della Memoria“;
– Archivio tedesco: Arolsen Archives;
– Schede personali: Commissione regionale triveneta per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano;
– Banca dati delle deportazioni veronesi;
– Info sul Trasporto 81, dal sito: “Da Verona ai lager“;
– Ricordando il maresciallo Ardu, dal sito: “Tottus in pari“;
– “’40 – ’45 Quinquennio infame”, di Vittore Bocchetta;
– Biografie A.N.P.I.;
– Flavio Busonera, il medico buono, un eroe dimenticato dai sardi, dal sito: “Tottus in pari”;
– Antifascisti e partigiani sardi, di Tonino Mulas;
– La lettera, dal sito: “Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana“;
– Puddu, l’eroe della Resistenza che il nipote recupera dall’oblio, dal sito: “Il Tirreno“;
– “Quelli della Montagna: storia del Battaglione Triestino d’Assalto”, di Giacuzzo e Scotti;
– “Itinerario di lotta, cronaca della Brigata d’assalto Garibaldi – Trieste” di Riccardo Giacuzzo e Mario Abram;
– “L’antifascismo in Sardegna”, a cura di Brigaglia, Manconi, Mattone e Melis;
– Dal sito dell’A.N.P.I., “Patria Indipendente” di Natalino Piras;
– L’eccidio di Blessaglia, dal sito: “Stragi nazifasciste“;
– I Martiri di Blessaglia, dal sito: “San Donà di Piave“;
– Eroi e caduti sardi, elenco Unione Sarda;
– Il ponte, di Natalino Piras, dal sito “La Bottega del Barbieri“;
– Omaggio ai 68 ronchesi finiti nei lager nazisti, dal sito “Il Piccolo“;
– I trasporti per Dachau, dal sito: “Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti“;
– Da territori di guerra a terre di pace, dal sito: “Patria indipendente“;
– Jubannedda Piccu la madre del partigiano, dal sito: “L’Ortobene“.
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