Partigiani sardi sopravvissuti -Triveneto-

Risiera di San Sabba, Trieste.
(Foto di Silvia Seu)

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Partigiano Salvatore Bulla

Partigiano Luigi Cuomo

Partigiano Luigi Lai

Partigiano Severino Lutzu

Foto tratta dal libro “Quelli della montagna” di Giacuzzo e Scotti.
Partigiano Luigi Podda

Partigiano Mario Prunas

Partigiano Luigi Puxeddu

Partigiano Antonio Raga

Bernardino Ruiu
Partigiano Bernardino Ruiu



Partigiani sardi caduti nel Triveneto -3-

Celle di detenzione, Risiera di San Sabba.
Vi trovò la morte il partigiano sardo Giovanni Serio
(foto di Silvia Seu)

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Partigiano Salvatore Saba

Foto tratta dal sito La Nuova Sardegna
Partigiano Giorgio Sanna

Partigiano Giovanni Sanna

Partigiano Sebastiano Sanna

Partigiano Giovanni Serio

Partigiano Antonio Serpi

Partigiano Gavino Soddu

Partigiano Salvatore Villani

Partigiano Maurizio Violini

Partigiano Michele Zidda

Partigiano Antonio Zucca



Partigiani sardi caduti nel Triveneto -2-

Eccidio di Bassano del Grappa.
Tra le vittime, il sardo Giuseppe Giuliani

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Partigiano Gavino Gavini
Scheda campo concentramento

Partigiano Giuseppe Giuliani
L’albero di Giuseppe Giuliani. Foto tratta dal sito: “Pietre della memoria“.

Partigiano Gesuino Manca

Partigiano Enrico Marcia

Partigiano Francesco Marras

Bartolomeo Meloni
Foto tratta dal sito: Pietre d’inciampo Venezia
Attestato di morte compilato a Dachau

Pietro Meloni
(Foto tratta dal sito “Da Verona ai lager“)
Partigiano Pietro Meloni
Lapide Palazzo Barbieri (foto di Silvia Seu)

Partigiano Gianni Merlo

Partigiano Egidio Mesina

Partigiano Alessandro Micheli

Partigiano Giuseppe Micheli

Partigiano Pasquale Muolo

Partigiano Bachisio Pau

Partigiano Pasquale Perra

Partigiano Antonio Pinna

Partigiano Salvatore Piras

Partigiano Salvatore Piredda

Partigiano Carmelo Piu


Partigiani sardi caduti nel Triveneto -1-

Lapide Eccidio di Blessaglia.
Vi si leggono i nomi di Antonio Cossa e Bachisio Pau
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Mario Ardu
(Foto tratta dal sito “Da Verona ai lager“)
Qualifica partigiano Ardu
Scheda Flossenburg

Flavio Busonera
(Foto tratta dal sito “Tottus in pari“)
Qualifica partigiano Busonera
A sinistra, Busonera.
Foto tratta dal sito: Blog di Padova

Partigiano Cabriolu Puddu Giovanni
Scheda Dachau

Partigiano Pietro Campus

Partigiano Giuseppe Carboni

Partigiano Antonio Caria


Partigiano Battista Cherchi



Partigiano Carmine Congiargiu
Murale Congiargiu a Orgosolo


Partigiano Antonio Cossa

Partigiano Giuseppe Cuccu


Partigiano Antonio Deiana

Partigiano Giorgio Delogu

Partigiano Angelo Erriu

Partigiano Antonio Falchi

Partigiano Mauro Antonio Fancello
Croce Rossa Internazionale

Partigiano Mario Farina



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Partigiani sardi nel Triveneto



Elezioni Assemblea Costituente: i dati in Sardegna

Lavori dell’Assemblea Costituente

Le prime consultazioni politiche libere dopo vent’anni di dittatura fascista, e le prime in cui avevano diritto a votare anche le donne, vennero fissate per il 2 giugno 1946. In questa giornata i cittadini italiani furono chiamati a votare per l’elezione dell’Assemblea Costituente (cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale) e per decidere, mediante referendum, se mantenere in piedi l’istituto monarchico o fare dell’Italia una repubblica.

Nelle elezioni per la Costituente, la Democrazia cristiana si affermò come primo partito a livello nazionale, seguita a grande distanza dal Partito socialista (Psiup) guidato da Nenni e subito dopo dal Partito comunista. L’Unione democratica nazionale che raccoglieva, assieme ai liberali, i maggiori esponenti della classe dirigente prefascista ebbe un risultato modesto, poco più del movimento dell'”Uomo qualunque” (che riscosse consensi tra la piccola e media borghesia spaventata dall’avanzata delle sinistre) e dei repubblicani. Si registrò inoltre l’autentica disfatta del Partito d’azione. Quanto alla destra vera e propria, nel clima del dopo liberazione appariva fuori dai giochi: il Movimento sociale italiano controllato dai neofascisti si sarebbe costituito solo nel dicembre del 1946, e i gruppi di destra finirono così con l’ingrossare le file della DC, gli schieramenti monarchici e il movimento qualunquista.
Le votazioni del 2 giugno furono caratterizzate da un’affluenza senza precedenti nella storia delle elezioni libere in Italia: votò l’89,08% degli aventi diritto.

Risultati elezioni Assemblea Costituente (partiti più rilevanti per la nostra indagine):

ITALIA

VOTI%
Democrazia cristiana8.101.00435,21
Partito socialista4.758.12920,68
Partito comunista4.356.68618,93
Unione democr. nazionale1.560.6386,78
Fronte dell’Uomo qualunque1.211.9565,27
Partito repubblicano1.003.0074,36
Partito d’azione334.7481,45
Partito sardo d’azione78.5540,34

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Anche in Sardegna la DC risultò il partito più votato, riuscendo così a eleggere ben 6 rappresentanti: Antonio Segni di Sassari che diventerà, nel 1962, il quarto Presidente della Repubblica (40.394 voti), Gesumino Mastino di Silanus (20.576), Salvatore Mannironi di Nuoro (20.121), Francesco Chieffi di Ittiri (17.184), Francesco Murgia di Olzai (13.854) e Battista Falchi di Sassari (12.343).
Tra i risultati più interessanti si segnala il secondo posto del Partito sardo d’azione che riuscì a eleggere due esponenti di prestigio: Emilio Lussu di Armungia con 17.853 preferenze e Pietro Mastino di Nuoro con 15.934.
Il Partito comunista in Sardegna conquistò un solo seggio con Velio Spano di Teulada (21.841 voti), così come il Movimento qualunquista guidato da Giuseppe Abozzi di Sassari, eletto con 18.436 preferenze.
Il Partito socialista ottenne un risultato molto deludente rispetto al dato nazionale (solo l’8,84% di consensi) con un unico esponente eletto: Angelo Corsi di Capestrano (9.733 voti).
L’affluenza in Sardegna si attestò all’85,91%, leggermente più bassa rispetto al dato nazionale.

SARDEGNA

VOTI%
Democrazia cristiana216.95841,14
Partito sardo d’azione78.55414,89
Partito comunista66.10012,53
Fronte dell’Uomo qualunque65.14212,35
Partito socialista46.6338,84
Unione democratica nazionale33.3536,32

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I tre capoluoghi di provincia come erano schierati politicamente?

Scontata, anche a Cagliari, la vittoria della DC, il risultato più sorprendente fu la fiducia accordata al Fronte dell’Uomo qualunque, con oltre 14.000 preferenze. Anche nel capoluogo il Partito socialista ottenne un risultato deludente, al di sotto della media regionale. L’affluenza a Cagliari fu pari all’84,44%.

CAGLIARI

VOTI%
Democrazia cristiana16.74831,12
Fronte dell’Uomo qualunque14.86027,61
Partito comunista7.13413,26
Partito sardo d’azione5.94411,05
Unione democr. nazionale3.9137,27
Partito socialista3.5976,68

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Risultati simili si ebbero a Sassari, con la Democrazia cristiana che ottenne una percentuale di preferenze in linea con il dato regionale. Exploit del movimento qualunquista che fu premiato soprattutto nelle città del Centro-Sud, con i centri urbani sardi che seguirono questa tendenza. Da segnalare i pochi consensi che ottenne il Partito sardo d’Azione, superato anche dall’Unione democratica nazionale. L’affluenza a Sassari si fermò al 77,43%.

SASSARI

VOTI%
Democrazia cristiana11.34241,26
Fronte dell’Uomo qualunque7.80528,40
Partito socialista2.74910,00
Partito comunista2.3048,38
Unione democr. nazionale1.2674,61
Partito sardo d’azione1.1524,19

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Anche a Nuoro la DC si affermò come primo partito, seguito a notevole distanza dal Partito sardo d’azione che poteva contare sugli ampi consensi a favore del nuorese Mastino, che venne poi eletto. L’affluenza a Nuoro si attestò all’88,84%, leggermente superiore al dato regionale.

NUORO

VOTI%
Democrazia cristiana2.37835,33
Partito sardo d’azione1.23618,36
Fronte dell’Uomo qualunque1.16217,26
Partito comunista96014,26
Partito socialista5798,60
Unione democr. nazionale2904,31

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Se i capoluoghi di provincia votarono compatti Democrazia cristiana, come si comportarono i piccoli centri a carattere rurale? A titolo di esempio, focalizzeremo la nostra attenzione su tre paesi del Sarrabus per constatare che le differenze sociali tra campagna e città si rifletterono anche sul lato politico.

A Villaputzu il Partito comunista superò il 32% anche grazie alla candidatura di Claudia Loddo, villaputzese di nascita, che in tutta l’isola ottenne 651 preferenze, troppo poche per poter essere eletta. Al secondo posto la DC, con ben 20 punti in meno della media regionale e, a seguire, il Partito sardo d’azione che ebbe un buon riscontro. Rispetto al voto delle città, il movimento qualunquista non ebbe grande seguito nei paesi. L’affluenza a Villaputzu si attestò all’83,86%.

VILLAPUTZU

VOTI%
Partito comunista49832,11
Democrazia cristiana32520,95
Partito sardo d’azione21313,73
Unione democr. nazionale20513,22
Partito socialista1268,12
Fronte dell’Uomo qualunque976,25

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Anche a Muravera il PCI fu il partito più votato, in linea con il dato di Villaputzu. A poca distanza, con un centinaio di voti in meno, la Democrazia cristiana che a Muravera ottenne il consenso più alto tra i paesi del Sarrabus. Il dato più sorprendente è però il risultato del Partito sardo d’azione che non arrivo al 4% di preferenze. L’affluenza a Muravera fu alta, pari all’87,78%.

MURAVERA

VOTI%
Partito comunista54333,07
Democrazia cristiana44527,10
Unione democr. nazionale29517,97
Partito socialista1388,40
Fronte dell’Uomo qualunque1227,43
Partito sardo d’azione633,84

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Nel 1946 San Vito era il paese più popoloso del Sarrabus, con 2.763 elettori a fronte dei 1.970 di Villaputzu e dei 1.972 di Muravera. Il Partito comunista ottenne un risultato eclatante, arrivando quasi a doppiare i voti della Democrazia cristiana separata da oltre 20 punti percentuali. Anche il Partito sardo d’azione ebbe molti consensi, fu il dato più alto ottenuto nel Sarrabus. L’affluenza a San Vito fu pari all’84,84%.

SAN VITO

VOTI%
Partito comunista1.01646,01
Democrazia cristiana53524,23
Partito sardo d’azione35416,03
Unione democr. nazionale1054,76
Partito socialista592,67
Fronte dell’Uomo qualunque502,26

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Ultimo paese oggetto dell’indagine è Armungia, centro del Gerrei, comune di nascita del noto antifascista Emilio Lussu. Trainato dalla candidatura di Lussu, il Partito sardo d’azione arrivò a sfiorare il 76% dei consensi! Gli elettori di sinistra si schierarono a favore di quest’ultimo, lasciando ai due partiti di massa solo le briciole. Molto interessante anche il dato dell’affluenza, con ben 89,52% di votanti.

ARMUNGIA

VOTI%
Partito sardo d’azione39275,97
Democrazia cristiana6813,18
Fronte dell’Uomo qualunque326,20
Partito socialista40,78
Unione democr. nazionale40,78
Partito comunista20,39

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I risultati del referendum istituzionale registrati nei comuni sopra citati sono analizzati in questo articolo: Referendum in Sardegna, 2 giugno 1946.

Antifascisti del Sarrabus nella guerra di Spagna -2-

Dopo aver elencato gli antifascisti di Villaputzu che combatterono in Spagna, in questo articolo ci soffermeremo sui volontari di San Vito.

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Mura Emanuele -figlio di Giovanni e di Melone(i) Priama- nacque a San Vito il 13 febbraio 1898.
Di professione contadino, emigrò in Francia nel 1923. Di lui non si hanno molte informazioni, risulta solo che venne fatto prigioniero dai franchisti a Santander e, successivamente, fu internato in un campo di concentramento in Spagna. Rimpatriato in Italia nel 1938, venne mandato al confino nell’isola di Ventotene, colpevole, per le autorità italiane dell’epoca, di essersi recato in Spagna a combattere al fianco dei repubblicani. Da notare che alcuni documenti relativi al confino segnano come data di nascita di Mura, il 13 novembre 1898.

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Puliga Antonio (figlio di Salvatore e Meloni Regina) nacque a San Vito il 22 febbraio 1915.
Antifascista ricercato dalla polizia, abbandonò la Sardegna per rifugiarsi in Francia, a Waziers (Nord) in Rue Coeur de Notre Dame. Giunse in Spagna in data imprecisata per arruolarsi nella 2^ compagnia del Battaglione Garibaldi. Venne segnalato anche dal CTV (Corpo Truppe Volontarie a supporto di Francisco Franco) “da un elenco rinvenuto nella sede abbandonata di un comando repubblicano”. Dopo il mese di ottobre 1938 rientrò in Francia, in Italia fu iscritto nella Rubrica di Frontiera. Il sito “Brigadas Internacionales” segnala che Puliga fu ospedalizzato nella Clinica Militare Internazionale n. 7 di Matarò, comune della provincia di Barcellona.
Nelle varie fonti d’archivio viene indicato anche con il nome di Antonio Pulliga e Antoni Puliga Melore.

Il giudizio di Pietro Pavanin, funzionario del Comintern, sul combattente Puliga in relazione alle posizioni del Pcus.
Dall’archivio: “Brigadas Internacionales. Relación alfabética, adicional, de extranjeros enrolados en las Brigadas Internacionales”.

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Giovanni Secci (a sinistra) con altri 2 feriti, Gualandi Ubaldo e Galletti Danilo

Secci Giovanni (figlio di Emanuele e Schirru Marica) nacque a San Vito il 26 aprile 1896.
Pastore residente in Francia, segnalato come comunista, mancava dal comune di nascita da oltre 15 anni. Si arruolò nella compagnia italiana del battaglione Dimitrov nel gennaio 1937. Ferito gravemente alla gamba destra a Morata de Tajuna il 12 febbraio, fu costretto a rientrare in Francia nell’agosto dello stesso anno per motivi di salute (probabilmente rimase invalido). Venne erroneamente segnalato come disperso sul libro “Garibaldini”, e come tale viene indicato anche in altre fonti [“Gli Antifascisti italiani nella guerra di Spagna”. Quaderni italiani. (1943) v. 3 (aprile)].
Altra denominazione: Jehan Secci

Il giudizio di Pietro Pavanin, funzionario del Comintern, sul combattente Secci.

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Eugenio Sestu

Sestu Eugenio (figlio di Giovanni e Ricca Teresa) nacque a San Vito il 10 settembre 1904.
Muratore, sostenitore del Partito comunista, tra il 1923 e il 1924 lavorò nelle miniere di carbone di San Giovanni (Iglesias). L’anno successivo, a causa delle difficoltà a trovare un lavoro stabile per non aver aderito al fascismo, decise di emigrare in Francia dove trovò impiego in un’impresa edile nei pressi di Parigi. In Francia venne a contatto con le organizzazioni dell’emigrazione antifascista italiana e nel 1936 si recò in Spagna per arruolarsi nella 1^ Compagnia del Battaglione Garibaldi come portaordini. Partecipò ai combattimenti nella difesa di Madrid, a Boadilla del Monte e a Pozuelo dove rimase ferito. Venne ricoverato in un ospedale militare a Madrid e, una volta guarito, tornò al fronte per partecipare alla battaglia di Guadalajara.

Nuovamente ferito a Huesca, passò nella Brigata Garibaldi, 1° Battaglione. A Brunete venne ferito per la terza volta e, dopo due operazioni all’ospedale di Murcia, venne dichiarato invalido permanente e inabile al servizio. Dimesso nel 1938, lasciò la Francia con un convoglio di feriti nel luglio dello stesso anno. Sestu fece parte di quel gruppo di 40 italiani provenienti dalla Spagna che nel 1939 trovarono rifugio in URSS. A causa della grave ferita riportata durante i combattimenti, fu nuovamente operato al braccio per poi essere ricoverato in un sanatorio di Senisa (Solnečnogorsk) in cui rimase fino alla fine della Seconda guerra mondiale. Nel novembre del 1946, Sestu insieme ad altri feriti si rivolse a Paolo Robotti (attivista del PCI che si trovava a Mosca) per chiedere di essere rimpatriato in Italia. Nel 1947 ritornò in patria ma non trovando un impiego a causa delle lesioni fisiche, si spostò in Francia, dove lavorò a Grenoble alla costruzione di una diga. Si stabilì definitivamente in Cecoslovacchia dopo aver trovato un’occupazione stabile grazie all’aiuto del sindacato.

Il giudizio di Pietro Pavanin, funzionario del Comintern, sul combattente Sestu.

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Fonti principali

Emanuele Mura:

Antonio Puliga:

Giovanni Secci:

Eugenio Sestu:

  • Istituto Nazionale Ferruccio Parri;
  • La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939 : tre anni di storia da non dimenticare. Roma : AICVAS, [1996];
  • “Dall’URSS alle Brigate Internazionali: Ugo Citterio e i sogni di una generazione”, di Elena Dundovich;
  • SIDBRINT, Memòria històrica i Brigades Internacionals.

Antifascisti del Sarrabus nella guerra di Spagna -1-

Recenti collaborazioni e nuove ricerche avviate dall’Istituto Nazionale Ferruccio Parri e da vari studiosi hanno permesso di approfondire le storie dei combattenti volontari antifascisti di Spagna, un tempo lasciati ai margini della storia più recente ma oggi sempre più riscoperti e valorizzati.

Ci soffermeremo in questo spazio sulle biografie dei volontari originari del Sarrabus, provenienti esclusivamente dai paesi di Villaputzu e San Vito (non risultano combattenti provenienti dagli altri paesi della subregione).

VILLAPUTZU

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Antonio Aledda

Aledda Antonio (figlio di Giovanni e Mulanu Regina) nacque a Villaputzu il 23 febbraio 1913.
Di famiglia operaia, frequentò la scuola fino alla quinta elementare; successivamente lavorò come minatore. Comunista, emigrò in Francia nel novembre del 1927, dove raggiunse il fratello Severino domiciliato a Montigny-en-Ostrevent. Si stabilì poi a Pas-de-Calais e diede avvio a un’intensa attività antifascista, favorita dalla sua precedente adesione alla Gioventù Comunista e in seguito alla CGT (Confederazione Sindacale Francese, n.d.r.). Con lo scoppio della guerra civile spagnola, si spostò in Spagna nel novembre 1936 e si arruolò nel Battaglione Franco-Belga, diventando tenente della 1^ Compagnia del 2° Battaglione della XII Brigata Garibaldi. Insieme alla sua Compagnia, combattè a Cerro Rojo, Ciudad universitaria, Majadahonda, Las Rozas, Pozuelo, Arganda, Farlete, Estremadura, Fuentes del Ebro e Caspe. In data 12 ottobre 1937 venne ricoverato nell’ospedale militare di Villafranca del Panadès per una ferita di striscio al braccio sinistro; durante il conflitto venne ferito due volte in combattimento e una volta in trincea. In Italia venne ricercato dall’O.V.R.A. e iscritto nella Rubrica di Frontiera per il provvedimento dell’arresto. Il 17 giugno 1938 risulta impegnato nella battaglia dell’Ebro, in seguito alla quale verrà dichiarato inabile dal Comando di Brigata e trasferito a un battaglione di istruzione.

Il giudizio di Pietro Pavanin, funzionario del Comintern, sul combattente Aledda in relazione alle posizioni del Pcus.
Biografia scritta nel 1938

Dopo la caduta di Barcellona, avvenuta alla fine del gennaio 1939, riprese le armi entrando a far parte del Raggruppamento Internazionale della XV Brigata che cercava di frenare l’avanzata nemica e facilitare la fuga dei civili in territorio francese. Aledda combatterà fino al febbraio 1939: lasciata la Spagna riparerà in Francia dove verrà internato a Gurs, inizialmente progettato come campo di accoglienza voluto dal governo socialista francese per i rifugiati politici e i combattenti delle Brigate Internazionali fuggiti dalla guerra spagnola. Nel campo riallaccerà i contatti epistolari con il padre, che da Villaputzu invierà aiuti alimentari.
Il 15 luglio 1939 dal campo di Gurs scrive al padre:
“Oggi vengo di ricevere il vostro pacco, la quale ne restai molto contento io et i compagni che hanno preso parte, che l’abbiamo diviso come buoni fratelli, anzi direi di più che fratelli, e ve ne ringrazio tanto del ricordo che avete avuto per noi, che ci dà più animo di sapere che là di fuori non ci dimenticano, ed noi “Garibaldini” dei campi di concentramento vi affermiamo la nostra volontà di continuare la nostra lotta, subito quando la situazione ce lo permette continuare la lotta che abbiamo interrotto per causa degli avvenimenti che voi tutti sapete, ma statevene sicuri che noi “Garibaldini” non restiamo inattivi, stiamo sempre a studiare et a capacitarsi di più et preparando i nostri nuovi attacchi che quando Mussolini scatenerà la sua offensiva sulla Francia non troverà solo il popolo francese, ma troverà al fianco del popolo francese i Garibaldini di Guadalajara, i Garibaldini di tutti i fronti della Spagna, et li troverà ancora più decisi che mai di liberare il mondo intero”.
Uscito dal campo di Gurs, venne arruolato nelle Compagnie di lavoro del fronte francese.
Il fratello Severino, nato nel 1897, fu partigiano in Francia.

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Giovannico Massessi

Massessi Giovannico (figlio di Pietro e Boy Giuseppina) nacque a Villaputzu il 9 settembre 1909.
Emigrò in Francia e prese la residenza a Saint-Etienne. Nel novembre del 1936, pochi mesi dopo lo scoppio della guerra civile, si spostò in Spagna per dare il suo contributo alla causa repubblicana. Inizialmente fece parte della formazione Picelli, una colonna di 500 volontari del IX battaglione delle Brigate Internazionali comandata da Guido Picelli. Nel dicembre del 1936 la Colonna Picelli fu inglobata nel Battaglione Garibaldi, di cui anche Massessi fece parte. Perse la vita nel settembre 1938 sul fronte dell’Ebro, in quella che venne definita come la battaglia più lunga e sanguinosa della guerra civile spagnola. Il decesso venne annunciato pubblicamente dalle organizzazioni antifasciste di Saint-Etienne.

Il giudizio di Pietro Pavanin, funzionario del Comintern, sul combattente Massessi.

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Se per lungo tempo si pensava che i volontari di origine villaputzese fossero due, oggi grazie anche alle ricerche di Antonio Martino contenute nel libro “Antifascisti savonesi e guerra di Spagna”, possiamo aggiungere un nuovo nome, quello di Ottavio Tamponi.

Ottavio Tamponi (foto concessa da Gérard Soufflet, autore del sito Résistance polonaise en Saòne-et-Loire).

Tamponi Ottavio (figlio di Giuseppe e Cadoni Carmela) nacque a Villaputzu il 30 agosto 1897.
La sua storia è molto complessa e ancora non del tutto delineata. Lasciò il suo paese di nascita, Villaputzu, alla fine del 1912, all’età di 16 anni, per trasferirsi in Liguria. La sua giovinezza fu piuttosto inquieta, questo è quanto trapela dalle informazioni che la prefettura di Cagliari inviò, nel luglio del 1930, al console italiano a Marsiglia: nel giugno 1912 venne denunciato per un tentativo di furto, venne poi condannato a 8 mesi di reclusione per un furto con scasso avvenuto a Genova nel dicembre 1920, condannato a 2 mesi di carcere militare (pena poi sospesa) per aggressione e percosse avvenuti nell’ottobre 1917, condannato per lesioni personali e aggressione nel 1923 (poi assolto), e infine, in data 23 marzo 1918, venne dichiarato renitente dal Consiglio di leva di Cagliari per non essersi presentato alla visita militare. Nel 1930 sappiamo (grazie a una lettera che inviò al fratello Battista e che venne intercettata dalla censura italiana) che si trovava in Francia, espatriato clandestinamente da qualche anno. Scriveva al fratello:
Caro Battista,
sono rinchiuso nel manicomio di Perpignan da un anno e qualche giorno, ti spiego il perchè in seguito. L’anno scorso, dato che non posso restare qui a lungo, pensavo di andare in Spagna perchè lì dicono che non sono schizzinosi come lo sono qui nel chiedere documenti agli stranieri. Ora, quando avevo quasi varcato il confine francese, due carabinieri! Non so cosa stessero facendo in quel posto dove solitamente non c’è nessuno, ma sono stato catturato. Durante la mia fuga sono riuscito a buttar via le carte di un compagno francese e, quando mi hanno catturato, mi sono comportato da matto e non potendo identificarmi, sono stati costretti a mettermi in un manicomio, sorvegliandomi fino al 18 settembre (1930). Infine mi hanno lasciato andare sotto la sorveglianza di due ispettori di polizia: tu puoi immaginare quando mi sono visto con questi due tipi sulle chiappe! Ho dovuto poi cercare un modo per seminare questi farabutti, sono andato in giro per Perpignan, ho preso il treno per Montpellier, li sentivo sempre dietro di me, poi sono entrato in un caffè con due ingressi e questi signori si sono persi e io mi sono accorto che non mi seguivano più. Ho preso il treno per Lunel e mi sono nascosto in questo piccolo villaggio prima di partire in Spagna. Ora la gendarmeria del villaggio ha chiesto le mie carte e non so cosa fare; ho detto loro che sto aspettando il mio passaporto italiano, quindi mi hanno dato 15 giorni. Non so se hai notizie dei nostri fratelli e di nostra madre […]. Ho l’impressione che qui stia diventando peggio che in Italia. Da tutte le parti la disoccupazione è in aumento, puoi immaginare le condizioni degli stranieri in Francia. […]
Sarò orgoglioso di sentirti. Ricevi mille baci, tu e la tua famiglia.
Il tuo Ottavio
(per l’indirizzo metterai Antonio Cadoni…)“.

Per alcuni anni i servizi italiani ne persero le tracce, fin quando nel febbraio 1932 l’ambasciata a Parigi comunicò al Ministero dell’Interno a Roma che Ottavio Tamponi era stato rintracciato dal consolato di Marsiglia ad Aubais. Lasciò Aubais nel 1936 e si stabilì per un breve periodo a a Greasque (Bouches du Rhone), dove abitava il fratello Claudio. Prima di arruolarsi in Spagna nella Brigata Garibaldi, sappiamo che visse per qualche tempo a Bastia (in Corsica), tappa, questa, che sfuggì alla Polizia italiana. Tamponi arrivò in Spagna nell’aprile del 1937. Prima fu arruolato nel Battaglione Garibaldi, poi passò al 1° Battaglione della Brigata Garibaldi, combattendo a Huesca, Brunete e Farlete.

Il giudizio di Pietro Pavanin, funzionario del Comintern, sul combattente Tamponi.

Dopo lo scioglimento della Brigata, Tamponi è segnalato, nel gennaio 1939, nel campo di smobilitazione di Torellò (Catalogna settentrionale). Rientrato in Francia, probabilmente a febbraio 1939, venne internato nei campi di Argelès, Gurs, Vernet d’Ariege (6 mesi) e Recebedou. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e con l’invasione della Francia, la Commissione Italiana per l’Armistizio ottenne l’elenco degli italiani ancora detenuti in Francia, tra i quali si trovava Tamponi, ricoverato dal 29 dicembre 1941 nell’ospedale del campo di Recebedou. E’ in questa occasione che Tamponi diede false generalità per non essere riconosciuto, affermando tra le altre cose di essere nato a Vado Ligure il 30 settembre 1900 (da qui scaturisce l’errore del paese di nascita). Dichiarò di non voler rientrare in patria e, una volta guarito, venne riportato nel campo di Vernet d’Ariege. Il 4 novembre venne iscritto in Rubrica di frontiera con l’indicazione di perquisizione e segnalazione.

Atto di nascita di Ottavio Tamponi

A questo punto le informazioni sulla sorte di Tamponi si fanno piuttosto incerte.
Gli archivi italiani riportano che fu rimpatriato in Italia e confinato nell’isola di Ventotene. Fonti francesi (Matricule 35494 e Résistance polonaise en Saòne-et-Loire), invece, riferiscono che, a causa della tubercolosi, venne trasferito al sanatorio del campo di La Guiche in Saòne-et-Loire, dove arrivò a pesare 38 kg. Il campo fu poi liberato il 24 marzo 1944 dai resistenti del Battaglione polacco FTP, e fu in questa occasione che Tamponi si diede alla macchia, unendosi ai suoi liberatori del battaglione Mickiewicz. Da partigiano, assunse il nome di battaglia “Spada”. Le ultime notizie di Tamponi risalgono al 14 dicembre 1944, giorno in cui scrisse un testo autobiografico dal castello di Cypierre.
Come mai gli archivi italiani lo davano confinato a Ventotene (vedi elenco ANPPIA)?
E’ opportuno rilevare che il nominativo “Ottavio Tamponi” compare anche nella Resistenza veronese, in particolar modo viene citato come compagno di lotta di Giuseppe Tommasi quando venne arrestato nel novembre 1943 (vedi pagine Wikipedia, SardiniaPost, Tottus In Pari). Si tratta di un errore? Probabilmente sì, anche se il dubbio rimane.

Ottavio non fu il solo, nella sua famiglia, a essere costantemente vigilato dai servizi italiani, stessa sorte toccò anche ai fratelli. Claudio (n. 1891 a Villaputzu) venne segnalato, già negli anni ’20, come violento elemento eversivo di tendenza socialista, e venne poi seguito anche una volta stabilitosi a Gréasque, dove negli anni ’30 guidò un’organizzazione del partito socialista di cui fu anche segretario. Angelo, emigrato in Cile, svolgeva attività antifascista nel Paese, così come il fratello Battista rimasto in Sardegna.


Sullo stesso tema:

Caduti Villaputzu Prima guerra mondiale
Partigiani del Sarrabus in Piemonte
Antifascisti del Sarrabus


Fonti principali

Antonio Aledda:

  • Istituto Nazionale Ferruccio Parri;
  • SIDBRINT, Memòria històrica i Brigades Internacionals;
  • La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939 : tre anni di storia da non dimenticare. Roma : AICVAS, [1996];
  • ACER. Les Amis des Combattants en Espagne Républicaine. Brigadistes;
  • Archivio di stato russo di storia sociale e politica (RGASPI), doc. e foto;

Giovannico Massessi:

Ottavio Tamponi:

Vittime sarde delle Fosse Ardeatine -2-

Articoli collegati:

Candido Manca

Candido Manca nacque a Dolianova (CA) il 31 gennaio 1907 da Francesca Zucca e Annibale. Impiegato, residente a Roma.
Nipote del colonnello Giuseppe Manca Sciacca (cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, che combatté nelle guerre di indipendenza), nel 1925 si arruolò volontario nell’Arma dei Carabinieri. Prestò servizio a Roma e, dopo i tre anni di ferma, venne richiamato in servizio presso la Legione Territoriale della città nel 1935, nel 1939 e infine nel 1940. Nel frattempo ottenne il diploma di ragioniere e fu assunto nell’Azienda Autonoma Statale della Strada (AASS, poi rinominata ANAS). Durante il conflitto venne arruolato con il grado di brigadiere nella Compagnia Presidenziale e Reale di Roma e il 25 luglio 1943 partecipò all’arresto del duce voluto dal re Vittorio Emanuele III. Quando, il 7 ottobre 1943, le truppe della Wehrmacht e delle SS occuparono le caserme dell’Arma dislocate in città, Manca insieme ad altri trenta carabinieri riuscì a sfuggire ai tedeschi e partecipò al movimento di Resistenza aderendo alla Banda Caruso.

La Banda Caruso, nota anche con il nome di “Fronte clandestino di resistenza dei Carabinieri”, fu costituita interamente da militari dei Carabinieri Reali guidati dal generale Filippo Caruso e divenne, forte dei suoi 6000 uomini, la più forte organizzazione dipendente dal “Fronte militare clandestino” agli ordini del colonnello di stato maggiore Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (anch’egli trucidato nelle Fosse Ardeatine). Tra le vittime dell’eccidio seguito ai fatti di via Rasella, ben dodici furono militari dell’Arma dei Carabinieri, tutti appartenenti al Fronte Clandestino della Resistenza; tra questi ci furono 2 sardi (oltre a Candido Manca anche Gerardo Sergi).

La sera del 10 dicembre 1943, Candido Manca fu catturato dalla Gestapo durante un incontro clandestino a cui partecipano anche il tenente Genserico Fontana, il tenente Romeo Rodriguez Pereira e il colonnello Giuseppe De Sanctis, quest’ultimo il solo a sfuggire all’eccidio. L’appuntamento era stato fissato in via della Mercede 42, a Roma, nello studio dell’industriale Realino Carboni con lo scopo di ritirare dei fondi per il sostentamento dei carabinieri in difficoltà. Forse agevolate da una delazione, le SS guidate personalmente da Kappler, fecero irruzione nell’appartamento, arrestando tutti i carabinieri. Manca fu accusato di organizzare bande di carabinieri sbandati e di essere il loro ragioniere personale. Insieme ai suoi compagni, fu rinchiuso prima nel carcere di via Tasso e poi nella cella n. 253 del braccio tedesco di Regina Coeli dove venne più volte torturato senza mai rivelare nomi di altri partigiani. Nella scheda relativa alla vittima, si sottolinea il fatto che la famiglia abbia tentato tutte le vie, legali e illegali, per la sua liberazione sacrificando i propri averi, vendendo il vendibile e sottostando a varie truffe di persone che assicuravano di poterlo far uscire dalla prigionia. Dal carcere riuscì a mettersi in comunicazione con la famiglia grazie a delle lettere che, clandestinamente, vennero fatte uscire dalla cella nascoste all’interno della gavetta. Fu fucilato nelle Fosse Ardeatine tre mesi dopo la cattura assieme ai due compagni Rodriguez Pereira e Fontana. Nel dopoguerra gli fu assegnata la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con questa motivazione:

«Sottufficiale dei carabinieri appartenente al fronte della resistenza si prodigava senza sosta nella dura lotta clandestina contro l’oppressore tedesco trasfondendo nei suoi compagni di lotta il suo elevato amor di Patria ed il suo coraggio. Incurante dei rischi cui si esponeva, portava a compimento valorosamente le numerose azioni di guerra affidategli. Arrestato dalla polizia nazi-fascista, sopportava stoicamente, durante la detenzione, le barbare torture inflittegli ed affrontava serenamente la fucilazione, pago di aver compiuto il suo dovere verso la Patria oppressa, con l’olocausto della vita».

Il corpo di Candido Manca venne riconosciuto dagli oggetti che portava addosso e che vennero riconsegnati alla famiglia: cappotto, vestito, fazzoletto, camicia, mutande, maglia, boccettina, guanti, catenina d’oro con medaglietta e grammatica tedesca. Tra i firmatari del verbale di riconoscimento vi è la moglie, Lavinia Manca.

Riposa nel sarcofago n. 295 (il fatto che Genserico Fontana sia la vittima n. 293 ci fa capire che i due compagni di lotta morirono assieme). Aveva 37 anni e oltre alla moglie lasciò due bambini di 7 e 4 anni.

Questa è la lettera inviata clandestinamente alla famiglia il 3 gennaio 1944, dal carcere di via Tasso:

Bolò mia cara,
ho ricevuto tutti i pacchi, il penultimo conteneva il Mom, di quest’ultimo fammi il piacere di mandarmene ancora, vedi di trovare i barattoli che credo sia migliore.
Vuoi sapere come passo i giorni? Puoi immaginarlo, in una cella di metri quadrati 4 e 25 cm. mezza internata con una finestra munita di inferriata, ramata a vetri, semibuia.
Come vitto ci danno due pagnotelle, caffè la mattina e appena un pasto di minestra alle 12. Nella cella siamo in quattro e dormiamo sul pagliericcio con due coperte a testa […] La salute è ottima, il raffreddore è quasi scomparso. Con la venuta del quarto abbiamo avuto la sorpresa dei pidocchi. Fattolo sapere al comandante questi ci ha fatto fare il bagno e disinfettare i vestiti al vapore.
Dirti le peripezie non basterebbe un quaderno, ne abbiamo passato delle belle e delle brutte. Che vuoi fare ci abbiamo riso sopra. Ti avevo detto di mandarmi roba da mangiare di meno perché tesoro mio vedo che la mia permanenza qui sembra che duri e non vorrei dar fondo a quel poco che abbiamo messo da parte (puoi mandarmi della verdura al posto della carne che nutro desiderio).
Quanto vi desidero! Dei giorni sono tanto triste per questo motivo. Per tutto il resto tengo alto il morale data la mia innocenza. […]
Quanta tenerezza mi dai quando mi parli dei bambini, sento di adorarli in un modo tale che spesse volte anzi sempre a me e ai miei compagni di cella ci escono le lacrime. Hai fatto male di non aver allestito l’albero di Natale. Perché hai privato gli angioletti nostri di quella contentezza. Ad ogni modo spero che a Mariella per il suo compleanno avrai comprato qualche bel giocattolo e pure a Giancarlo. Come stai in salute? Mi auguro bene.
Mandami cento lire specie da dieci e da cinque. Quella somma che avevo addosso è qui in deposito e la daranno quando uscirò oppure alla famiglia se fornita dell’autorizzazione del Comando Tedesco “albergo Flora”. Fammi pervenire il libro di italiano “da Dante al Pascoli” che deve essere sulla ghiacciaia, la copertina è color marrone.
Comprami un piccolo dizionario italiano-tedesco, bada deve essere tascabile e deve contenere anche come si pronunziano le parole. Stai attenta a fianco della parola tradotta deve esserci anche come deve leggersi.
Al porta pranzo ti sei dimenticata di mettere la guarnizione cosa che ha permesso al signor sugo di uscire. Non ti faccio gli auguri per il nuovo anno ti dico soltanto che questo dovrà apportarci la felicità e la salute, altro non chiedo a Iddio.
Ti abbraccio e ti bacio caramente assieme ai bambini
.
Tuo per sempre,
Candido


Giuseppe Medas

Giuseppe Medas nacque a Narbolia (CA) il 27 agosto 1908 da Fernando e Francesca Tola. Avvocato, residente a Roma.
Rimasto orfano di padre in tenera età, frequentò le scuole elementari a Narbolia e proseguì gli studi a Oristano. Ottenuto il diploma, si trasferì a Roma dove, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, intraprese la carriera di avvocatura, senza mai tralasciare la sua passione per la letteratura e la filosofia. Nell’ottobre del 1932 si sposò con una ragazza campana, Sofia Salvagni. Convinto di dover dare il suo contributo all’opposizione al fascismo, durante il Ventennio aderì al movimento “Giustizia e Libertà” di Rosselli e Lussu e, dopo la caduta di Mussolini, entrò nelle file del Partito d’Azione. Il suo apporto alla lotta antifascista fu preziosissimo: si occupò della diffusione di materiale propagandistico e giornali clandestini che inneggiavano alla resistenza, cercò di mantenere i contatti con la rete di conoscenze che rischiava di sfaldarsi dopo l’armistizio dell’8 settembre, il tutto sempre a rischio della propria vita.

Il 3 marzo 1944, tra le 18.00 e 19.00, Giuseppe Medas si trovava nell’abitazione dell’avvocato Donato Bendicenti in via dei Gracchi 195 quando la Banda Koch fece irruzione nella casa. Insieme a Bendicenti vennero tratti in arresto anche Medas e un altro avvocato, Ugo Baglivo. L’arresto avvenne con molta probabilità in seguito alla delazione di una spia che era riuscita a infiltrarsi nel Partito d’Azione: Francesco Argentino, alias Walter Di Franco, calabrese di San Lorenzo (Reggio Calabria), stretto collaboratore di Pietro Koch. Tutti e tre gli avvocati vennero arrestati perchè sospettati di attività politica clandestina.

Dopo l’arresto, venne portato alla pensione d’Oltremare, in via Principe Amedeo 2, dove venne malmenato e seviziato durante l’interrogatorio e, successivamente, fu trasferito al 7° braccio di Regina Coeli. La mattina del 4 marzo venne perquisita anche la sua casa e alla famiglia vennero sottratti oggetti di valore e ricordi di famiglia. Nell’abitazione, ispezionata da 3 agenti della polizia fascista, vennero rinvenuti opuscoli del Partito d’Azione. Il 24 marzo, dopo 21 giorni di prigionia, venne prelevato dal carcere di Regina Coeli e assassinato nelle Fosse Ardeatine; il suo nome era il 18° della lista Caruso. Stessa sorte toccò ai compagni Bendicenti e Baglivo.

La salma di Giuseppe Medas venne identificata grazie a ciò che portava indosso: fazzoletto, camicia, vestito, tessera postale e tabacchi. Tra i firmatari del verbale di riconoscimento ci fu la moglie della vittima, Sofia Medas, alla quale vennero restituiti gli oggetti ritrovati.

Riposa nel sarcofago n. 191. Aveva 35 anni. Lasciò la moglie e due bambini di 10 e 9 anni.



Sisinnio Mocci

Sisinnio Mocci nacque a Villacidro (CA) il 31 dicembre 1903 da Giuseppe e Barbara Piras. Fabbro meccanico, residente a Villacidro.
La sua esistenza fu fortemente intrecciata alle vicende storiche dell’epoca. Proveniva da una famiglia di umili origini (il padre bracciante agricolo, la madre casalinga) e fu probabilmente a causa delle difficili condizioni economiche che frequentò la scuola solo fino alla 3^ elementare. A 19 anni fu chiamato alla visita di leva ma venne congedato per motivi fisici, essendo alto solo 154 cm. Nel 1922 lasciò Villacidro e si trasferì a Roma dove trovò impiego come fabbro-aggiustatore meccanico. Nella città capitolina entrò in contatto con gli ambienti del Partito Comunista abbracciandone gli ideali politici e acquisendo una coscienza antifascista. Nel 1925, forse su incarico del Pcd’I, si trasferì ad Albona (oggi Labin, in Istria) per lavorare come aggiustatore meccanico. Due anni dopo, nel 1927, si imbarcò a Trieste, con regolare passaporto, sulla nave “Belvedere” e raggiunse Buenos Aires, meta di tanti emigrati sardi. Nel 1930, seguendo le indicazioni del partito, si trasferì in Francia, stabilendosi prima ad Harnes, ospitato da familiari, e successivamente a Saint Denis. Nell’aprile del 1931 fu espulso per la prima volta dal Paese e inserito nell’elenco dei “connazionali recentemente espulsi dalla Francia e dal Belgio per la loro attività comunista e anarchica”. Il 10 ottobre dello stesso anno venne arrestato ad Aubervilliers, un sobborgo nord-orientale di Parigi, mentre vendeva i giornali la “Vie Proletarienne” e “Battaglie Sindacali”. Nonostante le due espulsioni, riuscì a rientrare in Francia in gran segreto. Nel frattempo, la Regia Ambasciata d’Italia a Parigi si adoperava per avere notizie e informazioni sull’attività del comunista sardo.

Nel 1932 emigrò in Unione Sovietica per motivi politici e vi rimase fino al 1937, quando decise di spostarsi in Spagna per dare il suo contributo alla lotta contro le truppe franchiste. Dopo un breve ma intenso addestramento militare, raggiunse il grado di tenente inquadrato nel 2° Battaglione della XII Brigata Internazionale Garibaldi, con la quale combatté sino al termine della guerra civile, rimanendo anche ferito durante la campagna sull’Ebro. Con la smobilitazione delle Brigate, si unì ai combattenti che cercavano di passare il confine francese e qui venne internato nel campo di Vernet per aver svolto attività comunista all’estero e per aver combattuto in Spagna nella Brigata Garibaldi. Arrestato dalla polizia fascista con la complicità del governo di Vichy, il 14 dicembre 1941 fu trasferito nelle carceri di Buon Cammino a Cagliari e il 16 febbraio 1942 venne assegnato al confino di Ventotene per la durata di 5 anni. A tale riguardo scrive il Prefetto di Cagliari Leone: “Si trasmette una istanza con cui il confinato Sisinnio Mocci chiede una breve licenza per rivedere la madre e la sorella. Questo ufficio, in considerazione che il Mocci si trova in colonia da poco più di due mesi e che la richiesta non è giustificabile da un urgente ed effettivo bisogno, esprime parere contrario all’accoglimento. (Cagliari 13 luglio 1942)”.

Dal confino inviava all’anziana madre (rimasta vedova) e alla sorella Giovanna dei modellini di aerei che venivano poi venduti, e il cui ricavato serviva per sfamare la famiglia. Dopo la caduta di Mussolini avvenuta il 25 luglio 1943, Sisinnio Mocci venne liberato e potè riallacciare i contatti con la rete clandestina del Partito comunista. Raggiunta Roma in tempo per partecipare alla battaglia per la difesa della capitale, entrò nei GAP con il nome di battaglia “Paolo”. Ricercato, venne ospitato come finto maggiordomo nella villa romana di Luchino Visconti, anch’egli impegnato nella Resistenza. «Mocci l’ho incontrato due o tre volte. […]. Me lo ricordo come una persona estremamente seria, accigliata, essenziale, completamente dedita alla Resistenza, e si capiva come questa causa occupasse ogni suo pensiero in ogni momento della sua giornata. Dopo il 25 luglio, mio fratello Luchino ed altri si erano adoperati con successo presso il Re per farlo rientrare dal confino e lo aveva ospitato a casa sua, al 366 di via Salaria. […]. Il Mocci diventò uno dei “capi”, se così li possiamo definire, per il quartiere Salario» (Lettera di Uberta Visconti, sorella del regista, a Martino Contu).

Tra gli antifascisti che trovarono riparo nell’abitazione del regista ci fu anche Francesco Curreli (amico di Mocci, fu uno degli esecutori dell’attentato di Via Rasella). «Sisinnio Mocci e Francesco Curreli – affermò Visconti su L’Unione Sarda del 24 aprile 1986 – nell’umiltà e nell’anonimato, hanno patito e lottato. Nell’umiltà e nell’anonimato sono morti, dopo essere stati eroi e artefici della Repubblica italiana».

Catturato il 28 febbraio del 1944 dalle SS, Mocci fu condotto alla pensione Jaccarino, luogo di detenzione e torture della Banda Kock, dove venne interrogato e indicibilmente torturato senza mai rivelare i nomi dei suoi compagni. «Uscì dalla pensione, per essere consegnato alle SS di via Tasso, col vestito completamente imbrattato di sangue, il viso irriconoscibile, il naso ridotto ad un grumo violaceo, le labbra gonfie e gocciolanti. Barcollando, con le costole spezzate, si teneva a un fianco, emettendo uno straziante mugolio ad ogni movimento. Mocci venne infine scaraventato giù dalle scale, piombò a terra e non si mosse. Un giovanotto in divisa lo colpì ancora con un calcio violentissimo, prima che lo sollevassero per l’ultima via Crucis» [L’Unione Sarda, 24 aprile 1986].

Sisinnio Mocci venne giustiziato nelle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

Il riconoscimento della vittima da parte degli amici avvenne con l’individuazione del pantalone (che corrispondeva alla giacca che indossava Francesco Curreli, che la ebbe in regalo da parte della vittima), del maglione con chiusura lampo, calze di filo nero, due capsule di metallo bianco. Il verbale di identificazione della salma fu firmato, tra gli altri, da Francesco Curreli e Luchino Visconti.

Riposa nel sarcofago n. 144. Aveva 40 anni.


[Seguiranno le ultime 3 biografie]


Fonti principali.

Candido Manca:

Giuseppe Medas:

Sisinnio Mocci:

  • Mausoleo Fosse Ardeatine;
  • “L’antifascismo italiano in Argentina tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del Novecento. Il caso degli antifascisti sardi e della Lega Sarda d’Azione Sardegna Avanti”, di Martino Contu in RiMe Rivista dell’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea;
  • “Il garibaldino Sisinnio Mocci” di Martino Contu, tratto dal sito http://www.carlofigari.it (info e foto);
  • “Sisinnio sardo e comunista”, tratto dal sito Patria Indipendente;
  • “Il corpo e il nome. Inventario della Commissione tecnica medico-legale per l’identificazione delle vittime delle Fosse Ardeatine (1944-1963)”, di Alessia A. Glielmi.

Vittime sarde delle Fosse Ardeatine -1-

Tra le 335 vittime delle Fosse Ardeatine ci furono anche 9 sardi.

Salvatore Canalis

Salvatore (Rino) Canalis, nato a Tula (SS) il 14 novembre 1908 da Raimondo e Maria Sanna, residente a Roma.
Frequentò le scuole elementari a Tula, proseguì gli studi in Sardegna e si laureò a Roma, in Lettere Classiche. Dopo la laurea partecipò alla compilazione del “Grande Vocabolario Latino” e collaborò con l’Istituto di Studi Romani, ottenendo grandi apprezzamenti. Insegnò presso il liceo “Virgilio”, “Mamiani”, poi al “Nazzareno”, al Convitto Nazionale e infine al Collegio Militare di Roma dove ottenne il posto di ruolo per l’insegnamento di lettere latine e greche. Come ricordato da un suo alunno, impartiva anche lezioni private per preparare i ragazzi agli esami di riparazione e di maturità. Nonostante gli impegni lavorativi, si dedicò a varie pubblicazioni come il Commento a “La quarta orazione filippica” di M. Tullio Cicerone e il Commento alle “Satire” di Orazio. Sposò Rogine Ghevaert, conosciuta durante un viaggio in Belgio, nel gennaio del 1936, e da lei ebbe due figli, Giovanna e Gianfranco. Dopo l’armistizio dell’8 settembre contribuì attivamente alla Resistenza romana finanziando un giornale clandestino ed entrando a far parte del Partito d’Azione. La moglie, fortemente preoccupata per l’attività partigiana del marito, lo convinse a farsi assumere tra gli ausiliari delle Guardie Palatine in Vaticano, ma Canalis non abbandonò la lotta. Strinse una forte amicizia con l’avvocato Giuseppe Medas, anch’egli assassinato alle Fosse Ardeatine, ed entrò in contatto con molti esponenti del partito. Quando, il 13 marzo 1944, gli fu chiesto di aderire al governo repubblichino per poter continuare a insegnare, il professore rispose: “Meglio la morte che aderire a questo governo“. Questo atteggiamento, unito a una denuncia anonima che lo accusava di essere badogliano, gli aprì le porte del carcere. Il giorno dopo, intorno alle 22.30, fu prelevato da casa da quattro agenti della banda Kock, prima portato in Questura per un primo interrogatorio e poi alla “Pensione Oltremare”, sede di tortura della famigerata banda fascista. Fu accusato di occultamento di armi, attività propagandistica antinazista e antifascista e appartenenza al Pd’A. Torturato, Canalis non fece i nomi dei suoi compagni partigiani e i fascisti non poterono raccogliere nessuna prova. Trasferito a San Gregorio al Celio, il 24 marzo 1944 intorno alle 16.30 venne portato a Regina Coeli, ultima tappa prima dell’esecuzione alle Cave: il suo era il 40° nome della lista Caruso. La moglie Rogine assistette al momento in cui il marito venne portato via, a bordo di un auto, da San Gregorio. Fu l’ultima volta che lo vide.

L’identificazione della salma da parte della moglie avvenne grazie agli abiti indossati (vestito, camicia, fazzoletto, pullover) e a varie tessere. Particolarmente utile al riconoscimento fu un frammento di una camicia di cotone di color panna con righe sottili rosse. Nel gennaio 2020, la città di Roma ha posizionato in suo ricordo una pietra d’inciampo davanti al numero 26 di piazza Prati degli Strozzi, dove si trovava l’ultima dimora di Salvatore.

Riposa nel sarcofago n. 154. Aveva 35 anni. Lasciò la moglie e due figli di 7 e 5 anni.


Pasquale Cocco

Pasquale Cocco, nato a Sedilo (OR) il 5 gennaio 1920 da Antonio Ignazio e Maria Luigia Mameli, residente a Sedilo.
Rimase orfano di padre a soli 10 giorni di vita. Frequentò le scuole elementari a Sedilo e, a Santu Lussurgiu, il ginnasio presso i Salesiani. Tra il 1938 e 1939 frequentò un corso di pilotaggio presso l’aeroporto di Borore e conseguì il brevetto di pilota civile di I° grado. Chiamato alle armi nel corpo dell’Aeronautica, seguì corsi di addestramento e di specializzazione in vari aeroporti della penisola: Orvieto, Frosinone, Salerno e infine Foligno, la sua ultima sede prima della firma dell’armistizio. Dopo l’8 settembre, con lo sbandamento dell’esercito, anche Cocco come molti sardi cercò di raggiungere Civitavecchia con la speranza di potersi imbarcare per l’isola. La famiglia perse i contatti dopo l’8 settembre ma seppe con certezza che intorno al 20 settembre si fermò per qualche giorno a Tivoli, ospitato da una famiglia di Sedilo, per poi proseguire verso Roma. Arrivato nella capitale, si sistemò in un pensionato di via Cairoli e si mise in contatto con il personale dell’Ufficio Assistenza Sardi, voluto dal gerarca Francesco Maria Barracu per arruolare nella RSI, nel Battaglione “Giovanni Maria Angioy”, i sardi che, impossibilitati a ritornare nell’isola, chiedevano aiuto. Quando gli venne ordinato di partire al Nord per combattere con i fascisti, pur di evitare la chiamata si tagliò le vene dei polsi. Questo gesto gli costò la consegna alle SS che lo rinchiusero nella cella n. 5 del carcere di via Tasso. Suoi compagni di cella furono il sardo avv. Giorgio Mastino Delrio di Ballao, liberato qualche giorno prima dell’eccidio grazie anche alle sue conoscenze in Vaticano, il medico dott. Manlio Gelsomini, lo studente Orlando Orlandi Posti, Alvino maresciallo paracadutista, Leonardi e Cicconi. Il 24 marzo Cocco, Orlandi, Gelsomini e Leonardi furono uccisi alle Fosse Ardeatine.

Il riconoscimento del corpo da parte della conoscente Alessandra Floriani avvenne in base ad alcuni caratteri somatici, alla divisa da sergente con filetto da allievo ufficiale e a una lettera ritrovata sulla salma. Nel verbale è riportata la testimonianza della donna riguardante la sua conoscenza con Cocco e il ricovero di lui al Policlinico militare del Celio.

Riposa nel sarcofago n. 141. Aveva solo 24 anni.


Gavino Luna

Gavino Luna, nato a Padria (SS) l’11 aprile 1895 da Pietro e Maria Maddalena Are. Residente a Cagliari, impiegato radiotelegrafista.
Dopo aver frequentato le scuole prima a Padria e poi a Pozzomaggiore, si arruolò come soldato volontario nel novembre del 1914. Partecipò alla Grande Guerra fin dalle prime fasi, raggiungendo il grado di caporale nel 46° Reggimento Fanteria. Il 22 giugno 1915, durante i combattimenti sul Sasso di Stria, venne ferito da un colpo d’arma da fuoco alla tibia anteriore della gamba sinistra. Operato a Torino, gli venne ricostruita la tibia con l’applicazione di una sutura metallica in argento. Rientrato in Sardegna, dopo la morte della prima moglie e della figlia di pochi mesi, si risposò a Tresnuraghes con Antoniangela Attene, insegnante, dalla cui unione nacquero tre bimbe: Fausta (morta in tenera età), Wanda e Aida. Invalido di guerra, trovò impiego come ufficiale post-telegrafico prima a Macomer, poi a Cagliari e si dedicò alla sua grande passione, il canto in lingua sarda.

In poco tempo divenne uno dei più noti interpreti e compositori del canto popolare in sardo con lo pseudonimo di Gavino De Lunas. La sua carriera giunse al culmine nel corso degli anni Trenta, quando una casa discografica milanese pubblicò i suoi canti raccolti in numerosi dischi che verranno diffusi a livello nazionale. Nel 1930 firmò insieme a Efisio Melis (celebre suonatore di launeddas di Villaputzu) il suo primo contratto discografico. La sua fama varcò i confini dell’isola e si esibì in varie città italiane: Roma, Trieste, L’Aquila, Sulmona e Brindisi. Durante la visita a Cagliari del re Vittorio Emanuele III avvenuta il 30 maggio 1926, fu l’unico artista invitato a cantare di fronte agli ospiti reali. Tra le sue interpretazioni da solista ricordiamo: Muttos de amore, Sa Tempesta, Prite ses troppu bella; accompagnato dalle launeddas di Efisio Melis: Ballu Cantadu de Logudoro, Cantu Campidanesu, Gosos pro Sant’Alvara; con il soprano Maria Rosa Punzirudu: Muttos a dispretziu.

Negli primi anni Trenta Gavino Luna rifiutò il tesseramento al partito e, giudicato antifascista, venne traferito all’ufficio postale di L’Aquila nel 1932. Durante un violento terremoto che scosse la città, rimase coraggiosamente al suo posto di lavoro e si attivò nei soccorsi, venendo elogiato dal Ministero: “Mi è gradito rivolgere alla S. V. per incarico del superiore Ministero, su mia proposta, una parola di compiacimento per aver dimostrato, in occasione del movimento tellurico del 26 settembre 1933, speciale attività e attaccamento al dovere. Il Direttore Provinciale: Molteni“. Come ricompensa ottenne il traferimento a Roma, alla posta centrale “San Silvestro”. Ritornò in Sardegna un’ultima volta, per incontrare la famiglia, nel luglio del 1939. Con l’entrata in guerra dell’Italia, dal 1940 al 1943 venne richiamato alle armi e inviato a Lubiana per organizzare e dirigere l’ufficio telegrafico della città. Dopo l’armistizio, il 26 ottobre 1943 lasciò Lubiana per ritornare clandestinamente a Roma e riprendere servizio alla Direzione delle Poste di San Silvestro. Fin da subito prese parte attiva alla lotta di Liberazione e aderì al Partito d’Azione. Nella formazione politica di Lussu si adoperò per dare assistenza ai numerosi soldati sardi che, dopo lo sbandamento dell’esercito, arrivarono a Roma con l’obiettivo di imbarcarsi per l’isola. Fu attivo nel C.L.N. e in una formazione partigiana con sede nel Vaticano, con il grado di capitano. Il 26 febbraio 1944, in seguito a delazione, venne arrestato dalle S.S. nel domicilio di via S. Giovanni in Laterano. Insieme a lui si trovavano i partigiani Pietro Sartelli (di Sassari), che si salvò fuggendo e nascondendosi in un serbatoio di acqua nel piano superiore, e Leandro Pittalis, fucilato immediatamente nel tentativo di fuggire. Gavino Luna trascorse i suoi ultimi giorni nel carcere di via Tasso dove venne torturato prima di essere condotto nelle Cave Ardeatine. Suo compagno di cella fu Sebastiano Parodi Delfino che si salvò perchè, gravemente ammalato, venne trasferito nell’infermeria di “Regina Coeli” due giorni prima della rappresaglia. Sarà lui, assieme alla figlia Wanda Luna, a firmare il verbale di riconoscimento della vittima.

Il corpo di Gavino Luna venne riconosciuto dalla presenza della sutura metallica sulla tibia sinistra, posta a seguito della lesione subita durante la guerra del 1915-1918. Alla famiglia vennero riconsegnati gli oggetti rinvenuti sulla salma: il vestito, le mutande e un fazzoletto.

Riposa nel sarcofago n. 63. Aveva 48 anni. Lasciò la moglie e due figlie di 20 e 17 anni.

Alcuni stralci delle lettere inviate ai familiari.

Marzo 1943, lettera scritta alla moglie:
“… Dirti la vita di qui non mi è permesso tanto; se non fosse per l’amore della mia patria, che, in qualsiasi modo bisogna servire, ritornerei immediatamente alla mia sede, ma neanche questo ora mi verrebbe concesso”.

13 maggio 1943, lettera scritta alle figlie:
“… Ho sempre pensato a voi sia di giorno che di notte e non immaginate quanto sia triste per sapervi poco tranquille in questi calamitosi tempi! Siate sempre buoni, abbiate speranza in Dio che vi dia forza e rassegnazione per affrontare serenamente questo flagello. Anche la mia vita è in pericolo a tutti i momenti e sinceramente è solo opera di Sant’Antonio, nel quale ho profonda fede, se io vivo ancora; come io prego per voi mie adorate figlie, pregate per vostro padre che pure nella lontananza vi tiene sempre nel cuore e tutti i suoi sacrifici sono per voi per vedervi più contente e tranquille in un giorno non lontano… Troppo piccole vi lasciai, non potete immaginare quanto sia grande il mio cuore per voi, darei la mia vita per vedervi ancora una sola volta… Adoro la vostra mamma perchè ha saputo guidarvi nel bene allevandovi tra i più gravi sacrifici. Siatele riconoscenti con l’obbedienza e fatela felice. Vi abbraccio, con tutto il mio cuore con voi. Vostro padre”.

7 agosto 1943, lettera scritta dopo la caduta del fascismo:
“… La situazione di qui è abbastanza calma e il fulmine sceso a ciel sereno non ci ha nè scosso nè impressionato, troppe le ingiustizie fatte ai veri lavoratori e troppi i benefici fatti agli immeritevoli e agli indegni! … Nulla mi rammarica perchè quello che si è fatto si è fatto per la Patria adorata… L’alba nuova già sorta c’incoraggerà ancor di più per proseguire senza tentennamento la nostra diuturna opera”.


[Seguiranno le restanti biografie]



Fonti principali.

Salvatore Canalis:

Pasquale Cocco:

Gavino Luna: