Storiella di Halloween 2019

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Lettura non indicata alle persone sensibili.

Sarebbe stata una lunga notte oscura e tempestosa quella che di lì a poco avrebbe inghiottito l’appartamento di Tzia Maria.
Il timido scrosciare della pioggia, simile al ticchettio delle unghie sul tavolo, lasciò spazio a secchiate d’acqua lanciate dal cielo, da qualcuno che lassù, di certo, conosceva bene la data impressa sul calendario.

Ma Tzia Maria, che frenetica lavorava alla stesura del suo nuovo libro, non sembrava essere interessata all’almanacco, nè tantomeno alle condizioni meteo, almeno fino a quando il farfugliare dei tuoni ancora lontani fu arricchito da un piacevole effluvio di cane bagnato.

Mossa dal suo instinto, si voltò improvvisamente verso il portoncino e dal vetro annebbiato intravide una gelida figura bionda attorniata da un nugolo di deliziosi cagnetti. La donna iniziò a bisbigliare parole prive di senso, inneggiando a un Matteo e a una Giorgia, maledicendo le costolette d’agnello di un noto chef e augurando una perdita d’acqua in un non meglio precisato appartamento di Manhattan.
Per un momento Tzia Maria stette immobile per la naturale indignazione quindi, fugato ogni dubbio, capì di trovarsi dinnanzi alla famosa Ritas dalla Prettas, la fantasma che aveva terrorizzato per anni gli assonnati pomeriggi de “Is Domus Noas”.
Quale onore per lei accoglierla in casa!
Ma la fantasma non aveva in programma una visita di cortesia e Tzia Maria non aveva tempo da perdere in inutili convenevoli, c’era pur sempre un libro che aspettava di esser scritto. Così, quatta quatta, si avvicinò all’ingresso e con un semplice click attivò la doppia mandata riuscendo a bloccare Ritas che a questo punto, chiuso anche il portellone interno, non poteva più vedere le reazioni di Tzia Maria.
Questo era davvero troppo, lei non avrebbe mai osato bloccare nessuno!
La fantasma fuggì nella strada emettendo sordi gemiti ed emanando una spettrale luce verde, ma non prima di aver invocato lo spirito di Bombolo, noto per la sua passione verso cappellini, felpe, legnetti incrociati e cuori immacolati.

La nostra laboriosa scrittrice, ignara del nuovo pericolo che l’attendeva, si sedette sul tavolo pronta a impugnare la penna, ma ecco che davanti a lei si materializzò il nuovo spettro panciuto. Adesso sì che era davvero furibonda, aveva da lavorare, lei!
Bombolo aveva una certa affinità con il colore nero, l’importante è che non riguardasse la carnagione, e appena vide il volto di Tzia Maria scuro dalla rabbia fu colpito da una rapida colica renale.
A dir la verità, non era la prima volta che Bombolo si faceva fuori da solo rinunciando alla realizzazione del suo malefico piano, ma almeno stavolta fu rincuorato da Tzia Maria che, impietosita, lo accompagnò alla porta porgendogli una manciata di gueffus innaffiati da un ottimo limoncello d’alta quota.
Si narra che qualche giorno dopo questa spiacevole vicenda, fu tra i protagonisti di una manifestazione di protesta piena di anime in pena: 49 milioni di presenze secondo la Cassazione, 49 e basta secondo la questura, ma questa è un’altra storia.

Abbandonato al suo destino Bombolo, Tzia Maria finalmente ritornava a esser sola.
Fuori imperversava il nubifragio: lo scirocco era così forte che tutte le finestre e le porte della casa sbattevano e tintinnavano. Era proprio questa l’atmosfera che preferiva per dar sfogo alla sua creatività, ma stavolta non fece neppure in tempo ad avvicinarsi al tavolo che…

Eccololà.

All’angolo tra la credenza di nonna Porcu e il settimino di zia Fernanda fece la sua comparsa Abelardo, simpatico spettro che un tempo frequentava attivamente lo stadio San Paolo, prima di ricevere un inaspettato incarico che aveva a che fare con l’estero (trasportatore? Ora non ci sovviene).
Il curioso Abelardo decise di impartire una durissima lezione a Tzia Maria: prese tra le mani i fogli con l’inchiostro ancora fresco, cercò di raggiungere il balcone per disfarsi di quelle preziose carte ma, essendo composto al 90% di acqua, li inzuppò ancor prima di raggiungere la portafinestra.
Come aveva osato compiere un tal gesto? Tzia Maria spinse con forza Abelardo fuori dal balcone e stavolta, senza dargli il tempo di esultare, lo scaraventò oltre la ringhiera. Non si seppe poi molto sulla sua fine, solo che qualche anno dopo perse il lavoro e fu costretto a chiedere il reddito di cittadinanza.

Tzia Maria non ne poteva più. Le ore scorrevano infruttuose e inoltre doveva sistemare il caos provocato da Abelardo quando, immobile dietro la finestra, scorse lei, lo spettro italico per eccellenza, avvolta in una bandiera dell’Irlanda.
Tzia Maria questo spettro l’aveva già osservato in un giornale e pensò che doveva essere molto fotogenica visto che dal vivo era davvero spaventosa, ma non aveva molto tempo per discutere con lei, doveva liquidarla in fretta.
Niente da fare.
Jo Jo non era dello stesso avviso, stavolta doveva raggiungere un risultato soddisfacente, doveva scavalcare quella soglia maledetta! Cercò di forzare la finestra, provò a passarle attraverso, ma i doppi vetri erano più difficili da superare e lei non era certo abituata a simili sforzi. Iniziò allora a roteare furiosamente gli enormi occhi cerulei, sussurrò gli orribili segreti dell’oltretombino e borbottò strane maledizioni risalenti al Ventennio, il tutto nella completa indifferenza di Tzia Maria che chiuse le tende per non essere disturbata.

Che affronto! Jo Jo, divenuta invisibile come al solito, decise di far risuonare il suo famoso grido demoniaco, il quale in più di un’occasione si era rivelato estremamente utile a mobilitare le folle: BIBBIANO.

L’urlo non era ancora svanito del tutto quando, voltandosi verso il balcone adiacente, vide davanti a lei un orribile spettro, immobile come un’immagine scolpita e mostruoso come il sogno di un pazzo. Il viso era rotondo, paffuto, con qualche neo a incorniciargli le labbra e orrende risa sembravano aver stravolto i suoi lineamenti in un ghigno perenne. Non avendo mai visto un fantasma prima d’ora, Jo Jo era naturalmente spaventatissima, barcollò paurosamente e volò giù non prima di aver lanciato un nuovo, ultimo, disperato appello senza senso: Iatail, Italai, Aviv, Viav.

Tranquilli, grazie a un cumulo di immondizia lasciato in eredità da una pallida giunta comunale, la dolce Jo Jo si ritrovò catapultata in una comoda poltrona che, quantunque se ne dica o si voglia far credere, non avrebbe lasciato tanto facilmente.

Qualche settimana dopo, lo spettro misterioso che tanto aveva terrorizzato la fantasma si presentò a casa di Tzia Leopolda Melis con in mano un piccolo omaggio: Italia Viva, il nuovo romanzo drammatico che Tzia Maria aveva concluso durante una tremenda notte di ottobre.

 

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Area mineraria di Baccu Locci

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Situato nella zona interna del Salto di Quirra nel territorio di Villaputzu, a poca distanza dalla bella spiaggia di Murtas, il villaggio di Baccu Locci si estende lungo le sponde dell’omonimo torrente, in un contesto naturalistico di straordinaria bellezza.

I primi insediamenti umani scoperti nella zona risalgono all’età nuragica; lungo la strada che porta all’area geomineraria sono presenti la tomba dei giganti di “Bruncu Pedrarba”, corridoio sepolcrale megalitico, e i resti del nuraghe Mannu.

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Tomba dei giganti

Lo sfruttamento a fini produttivi iniziò nell’Ottocento, quando si provò l’estrazione della galena e della blenda, estrazione che non risultò conveniente per la presenza di minerali minori che rendevano difficile il processo di separazione.

Alla fine del secolo la situazione cambiò con l’arrivo dei francesi, che acquisirono i diritti della miniera.
All’inizio fu l’ingegnere francese Emile Jacob a gestire la cava, dedicandosi all’estrazione di rame, antimonio, argento, arsenico e ferro.

Nel 1919 la cava fu affidata in subconcessione alla “Compagnia Miniere del Laurium” che arrivò a impiegare una cinquantina di lavoratori. Dal 1933 seguì un periodo di inattività (dovuta alla scarsa redditività della miniera), che durò fino al 1938, quando la società Rumianca acquisì il complesso per la presenza di arsenopirite, molto richiesto per l’impiego nell’industria chimica.

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Laveria

Fu in questi anni che l’area mineraria crebbe notevolmente: vennero ammodernizzati gli impianti, costruita la laveria per la lavorazione dei minerali, la diga per la produzione di energia elettrica, il sistema di teleferiche usate per trasferire il materiale estratto dai cantieri alla laveria (necessarie per superare il dislivello di 200 metri). Tutto intorno vennero realizzati uffici, dormitori, officina. In questi anni l’attività mineraria di Baccu Locci raggiunse il maggior numero di lavoratori impiegati, circa seicento.

I grandi investimenti nell’area non furono però utilizzati per tutelare la salute dei lavoratori. Le condizioni di vita degli operai restarono difficilissime.
Mancava un sistema di ventilazione forzata, le perforatrici a umido, e tutti quegli accorgimenti che avrebbero permesso di evitare l’inalazione dei veleni da parte dei minatori.

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Macchinari per l’attività estrattiva

A partire dalla metà degli anni ’50 iniziò, anche per la miniera di Baccu Locci, la fase di decadenza che terminò nel 1965 con la cessazione definitiva dell’attività estrattiva.

Oggi il sito di Baccu Locci è diventato un importante esempio di archeologia mineraria e industriale.
Lungo i tornanti che salgono fino ai 500 metri di quota, tra boschi di leccio e di olivastri, tra incantevoli laghetti e aree pic-nic, è possibile visitare una trentina di edifici storici e rari impianti industriali.
Il primo edificio che si incontra nell’area è la grande laveria, recentemente ristrutturata; a seguito della risistemazione non è più presente, al suo fianco, il traliccio in legno della teleferica.
Tutto intorno sono visibili altri caseggiati, ovvero ciò che resta degli uffici, dormitori, magazzini e dell’officina, dove oggi sono sistemati vari macchinari dell’epoca.

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Sbarramento artificiale

Dalla laveria è ben visibile il piccolo bacino artificiale, la diga Riu Mummusa, che non essendo ancora stata interessata dalle azioni di bonifica (effettuate recentemente nell’area), continua a registrare alte concentrazioni di Arsenico e Zinco.

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Galleria San Riccardo

A poca distanza dalla diga è possibile notare alcuni ingressi minerari, tra i quali spicca la galleria San Riccardo, il cantiere più produttivo della cava.

Risalendo lungo i tornanti si arriva al villaggio di Baccu Locci a 370 metri s.l.m., dove sono visibili le vecchie case del borgo, disseminate lungo i versanti del torrente.

Tutta l’area del Salto di Quirra ha una notevole importanza dal punto di vista paesaggistico, naturalistico e storico, che vale la pena preservare dall’incuria del tempo: un luogo che custodisce lo scorrere dei secoli, ripercorrendo le tracce che vanno dal nostro passato più recente alla nostra storia millenaria.


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Per approfondire l’argomento:

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10 anni di blog

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Caro Lettore,
sei capitato su Tre Passi Avanti in un giorno particolare.

Molto probabilmente sei finito qui per caso, reindirizzato da un motore di ricerca più o meno noto o da un link di una pagina sconosciuta ai più. Se hai avuto fortuna hai trovato l’argomento che cercavi, ma probabilmente non è così.

Avrai dato una veloce occhiata al titolo, starai scorrendo frasi generiche che non dicono molto per essere sinceri, ti starai soffermando sulle parole in grassetto.
Fatto un breve giro di ricognizione, ti prepari a riconoscere il filo conduttore del sito. Aspetta, no, non lo riconosci affatto. Ma, a pensarci bene, chi l’ha detto che questo blog debba avere uno stile, un tema particolare? Non perdere tempo a cercarlo, non c’è.

Scorri le pagine dell’archivio e decine di post differenti l’uno dall’altro ti si presentano davanti: Argomenti di Attualità Passata, Argomenti Stile Diario Adolescenziale Che Devi Cercare Immediatamente Il Tasto Indietro, Argomenti Che Sembrano Essere Un Inno Alla Noia, Argomenti Storici A Te Che La Scuola L’hai Finita Già Da Un Pezzo, Argomenti Sulla Sardegna Che Conosci Solo Per Averla Vista In Tv O Assaporata Dentro Un Piatto Di Pasta Condita Al Pecorino. Scappa da qui, subito, non hai nulla da perdere.
Forse sei già ritornato al fedele motore di ricerca, pronto per una nuova avventura, e io sto parlando al vento.

O hai deciso di darmi una seconda opportunità?
Bene, accomodati, qui sei il benvenuto.
Magari sei al tuo tavolo di lavoro, il portatile è circondato da carte, appoggi i gomiti sul tavolo e le mani ti tengono le tempie. Adagi la schiena alla spalliera e sposti lo schermo del computer affinché l’illuminazione sia ottimale. No aspetta, tu sei più tipo da smartphone, una lettura veloce e via, non hai tempo da perdere. Ecco dunque ora sei pronto ad attaccare le prime righe della prima pagina, cerchi di capirci qualcosa. Questo non ti piace, quello nemmeno, quell’altro forse, questo… sì.
Bene, se sei arrivato a leggere anche l’ultima frase puoi lasciare un commento, perché è da anni che non se ne vede uno. E la cosa farebbe molto piacere all’autrice. Coraggio, sappi che puoi farlo!

Dunque, mio caro Lettore conteggiato nelle statistiche, dicevamo che oggi è un giorno importante per Tre Passi Avanti e hai il privilegio – sì addirittura!- di condividere con me questo traguardo.

Oggi questo piccolo spazio sperduto nella blogosfera compie la bellezza di 10 anni che per un blog, di questi tempi, è quasi come raggiungere i cento.
10 anni di passi avanti, molti anche indietro per essere sinceri, ma ognuno di questi affrontato con la presunzione di aver realizzato qualcosa di bello, se non per gli altri almeno per me.
Grazie Lettore sconosciuto, grazie per avermi tenuto compagnia in tutto questo tempo e per avermi dato la motivazione di andare avanti.
Sempre avanti con il sorriso. E si continua…

10 anni di blog
8 maggio 2007 – 8 maggio 2017

 

 

Expo

Ebbene sì, ci sono stata anche io.

Grazie ai biglietti omaggio ottenuti tramite uno sponsor, ho potuto ammirare questa gigantesca fiera che, devo dire, mi è piaciuta parecchio. Tantissima gente, troppa, lunghissime code, esagerate, pochi soldi spesi, davvero.

La mia esperienza, insomma, è stata totalmente positiva. C’è una sorta di cattiva informazione che gravita attorno all’Expo. C’è chi, portafoglio alla mano, dice di aver speso un capitale tra ingressi, cibo e quant’altro. In realtà, già da agosto, era possibile trovare biglietti a data aperta scontati del 60-70%, senza contare quelli omaggio offerti da enti e sponsor.
Per il cibo certo, se eri intenzionato a mangiare al ristorante giapponese non potevi pretendere di spendere pochi euro, ma già una pizza o un panino li pagavi quasi quanto il market sotto casa.
L’acqua era totalmente gratis. Grazie alle colonnine sparse per tutto il sito, l’avevi a disposizione fredda, liscia o gassata. Più comodo di così.

Poi sì, c’era la questione code…
Gente in fila ovunque. Anche per il bagno.
Però ho avuto la fortuna di incontrare, durante queste lunghissime attese, persone davvero simpatiche, quindi il tempo scorreva abbastanza velocemente.

File ingresso Expo

Dati alla mano, ho visitato l’Expo 4 volte, una sessantina i padiglioni visti, alcuni bellissimi, altri molto meno.
Il Padiglione Zero è quello che mi ha conquistata maggiormente.
Era il padiglione iniziale, il suo obiettivo era quello di condurti al tema del cibo come energia per la vita, il tema centrale dell’Expo. Ci è riusciuto in pieno. Magnifico, davvero emozionante.

Padiglione Zero

Padiglione Zero, interno

E poi c’era l’Albero della Vita. Immenso. Chissà che fine farà, dopo l’Expo.

albero della vita

La Corea del Nord e la Corea del Sud, unite in un unico padiglione super-tecnologico. Il tema del cibo trasmesso dai robot. Natura e artificio si fondono.

Corea

E poi gli Stati Uniti. Si possono riassumere con Obama che ci dà il benvenuto. Molto più bello esternamente, con i suoi giardini verticali. Per il resto, il nulla.
Al contrario, molto più interessante il Kuwait. Percorso iniziale tra la sabbia, la pioggia come fonte di vita ti dava il saluto iniziale, per poi far spazio all’immenso sole sullo sfondo. Coinvolgente dall’inizio alla fine. Ah, quasi dimenticavo, ho anche potuto assaggiare l’acqua dolce del Kuwait, dal sapore stranissimo!

Kuwait

Un altro paese molto interessante, il Qatar. Il padiglione era una sorta di spirale che il visitatore percorreva dall’alto verso il basso. Al centro, una sorta di albero della vita che grazie a incredibili giochi di luce si illuminava raccontando la sua storia, in una sala totalmente buia.

Qatar

Per visitare la Francia la fila era, stranamente, molto piacevole in quanto diventava una sorta di passaggiata tra orti e giardini. Una volta entrati nel padiglione vero e proprio, uno spazio aperto molto grande e luminoso, la parte più interessante si trovava sul soffitto, una sorta di mercato rovesciato.

francia

Che ingresso, la Polonia!
Fatta totalmente di cassette di legno, questa angusta entrata lasciava poi lo spazio a un grazioso giardino nel piano superiore.

polonia

La mattina ci rechiamo in fretta e furia al padiglione del Giappone. Era un giorno feriale, un banale martedì di fine settembre.

giappone

4 ore e 30? Lasciamo perdere. Decidiamo di dedicarci ai padiglioni vicini, con file più sopportabili. Arriva l’ora di pranzo, la gente si fionda nei punti ristoro, si riposa sui prati e mentre i padiglioni si svuotano, le file nei ristoranti diventano esagerate. Controlliamo il cartello del Giappone e con grande sorpresa leggiamo 1 ora e 50. Riusciamo così a visitare questo benedetto luogo mentre gli altri visitatori si strafogano di cibo, gli stessi che poi faranno ore e ore di fila poco dopo. Ma a pancia piena.
Che dire, del Giappone, ne parlano tutti. Tecnologia in ogni angolo, luci, video, suoni che creavano un atmosfera molto coinvolgente, giochi con la prospettiva che ti lasciavano a bocca aperta, descrizione minuziosa e accattivante del cibo tipico e infine, il famoso ristorante del futuro. Un’immensa sala buia con tavoli e sedie, piatti interattivi e bacchette vere con cui mangiare… le immagini sul piatto, chiaramente. Bellissimo. Una visita durata quasi un’ora.

vinitaly

Purtroppo, non ho sopportato la fila per il padiglione Italia, non finiva mai e soprattutto non c’erano indicazioni sui tempi di attesa. Nel Cardo, zona italiana, ho visitato solo Vinitaly senza, tra l’altro, neppure assaggiare un sorso di vino.

Molti paesi, come quelli più poveri dell’africa nera, per mancanze di risorse hanno utilizzato il loro spazio esclusivamente per vendere i loro oggetti tipici. Altri, come l’Ecuador, finivano per intrattenerti con una lezione di geografia sul Paese, con tanto di video e cartina esplicativa. Il Vietnam, bellissimo dall’esterno, internamente era una piccola delusione, ma è qui che si vendevano i famosi cappelli di paglia che andavano alla grande, non solo dentro l’Expo ma anche fuori.

In conclusione, cos’è che ha attirato milioni di persone a questo evento?
Avevi sicuramente la sensazione di girare il mondo, lì dentro, ma è stato davvero solo questo?

Decumano

Un’ungherese a febbraio

Lo dico subito. A me il Carnevale non piace.

– Oh, ma guarda che bello quel carro!- No, non mi piace.
– Eh, ma quel vestito è troppo originale. – No, non mi piace.
– Ah, è proprio simpatico quel clown. – No, non mi piace.

Ebbene, per colpa dell’Ungheria io odio il Carnevale.
Ecco un’altra prova che inchioda l’autrice di questo blog. E’ una pazza.
Lo so che state pensando questo, vi ho capiti miei cari inesistenti lettori, ma vi state sbagliando perchè esiste un legame profondo tra l’Ungheria e il mio Carnevale, e se avrete la pazienza di leggermi, capirete presto.

Erano gli anni della caduta del muro di Berlino, del crollo dell’Unione Sovietica, del faccione di Gorbaciov e di quella strana macchia sulla fronte che ci colpiva molto e attirava la nostra attenzione quando parlava alla tv.
Non so bene se tutto ciò fosse legato o meno, ma in questo periodo iniziò a comparire in qualche negozio di paese un nuovo vestito di Carnevale: l’abito da Ungheresina.
Gonna lunga a fiori fino ai piedi, bordo spesso azzurro, corpetto nero e bretelle in coordinato, camicia bianca con colletto e, per finire, piccolo cappello tondo con  nastri colorati laterali e campanellini.
Tutto intorno a me giocavano pirati, principesse, moschettieri, fatine, dame e poi c’ero io, a tenere alta la bandiera dell’indipendenza ungherese.
– Da che cosa sei mascherata? – Da ungheresina.
– Ah. Cos’è, un cartone animato di Bim Bum Bam?
– No.
– Un personaggio di Poochie?
– No.
– E allora?
– E’ l’abito tipico dell’Ungheria, un paese lontano che si trova nell’Europa orientale.
– Ah.

Ora, che vogliate crederci o meno, la risposta era più o meno questa. Perchè se nessun bimbo chiedeva informazioni sull’abito a un moschettiere, a un Cappuccetto Rosso, o a una fatina, un abito da ungheresina era una fonte di mistero, da cui si svisceravano continui Cos’è, Perchè, Dov’é a cui io dovevo moralmente dare una risposta.
Fu così che iniziai a fare una piccola ricerca sul mio abito e divenni in breve tempo l’unica bambina di 7 anni che non solo sapeva cos’era l’Ungheria, ma ti spiegava persino da che parte del mondo stava.
Non so se capite l’importanza simbolica del mio vestito: io ho contribuito a far conoscere  il lontano Paese dell’Est alla mia generazione, visto che fui praticamente costretta ad indossare l’abito per tutto il corso delle elementari.
I miei genitori, poco avvezzi al Carnevale, ritenevano sbagliato spendere dei soldi per questa festa che sì, era divertente, ma durava bene o male 2 giorni. Molto meglio ritoccarlo, sistemare di qui allargare di là, la gonna lunga fino ai piedi si accorciò fino a metà gamba, con il jeans bene in vista.
Finite le elementari, il vestito ritornò nella sua scatola e io che a febbraio diventavo per qualche giorno l’ambasciatrice dell’Ungheria, decisi che nessun altro vestito avrebbe mai potuto prendere il suo posto.
Il Carnevale da quel momento iniziò ad apparirmi vuoto, senza più significato, aveva perso tutta la sua attrattiva.
Questa freddezza continua ancora oggi, ma durante le sfilate delle maschere, ogni tanto mi vien da pensare se esista ancora una bimba un po’ più curiosa delle altre, che abbia deciso di abbandonare l’abito delle Winx per uno di un paese mai sentito prima.
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La scelta d’un comitato

Hai già assistito tante di quelle volte alla festa di paese, quella più importante dell’anno per intenderci, e mai una volta che ti sia piaciuta davvero. Sei un ascoltatore sensibile, attento alla musica di un certo tipo, tu, pronto a criticare le decisioni del gruppo di volontari a cui spetta l’organizzazione, ma preoccupati solo a fare la scelta più comoda, più sicura, più popolare. Di fronte alla monotonia di questa situazione, inizi a provare un certo disappunto e un pensiero si fa spazio nella tua mente.

Bene, cosa aspetti?
Dai, nessuna vergogna, si è capito cosa hai per la testa. Ci sono tanti, giovani e meno giovani di te, che a un certo punto decidono di  entrare all’interno del sistema per modificarlo, non certo per sposarne i principi, e stavolta sarai uno di loro. Non che t’aspetti qualcosa di particolare da questa avventura in particolare. Sei uno che per principio non s’aspetta più niente di niente: il meglio deve ancora venire? Non proprio, tu sei convinto che il meglio sia evitare il peggio, ma in questo campo così come in pochi altri un po’ di speranza rinasce, e questo delicato piacere riaffiora nella mente. D’altronde quest’avventura può finir bene o male, ma il rischio della delusione non è poi così grave.

Dunque, quest’anno sei entrato anche tu nel comitato dei festeggiamenti di un paesino di 5000 anime, hai fatto bene.
Hai partecipato alle riunioni, hai simpaticamente importunato i tuoi compaesani con le questue, hai aiutato come hai potuto insomma, e ora arriva il momento più importante, quello per cui hai deciso di far parte del sistema, il momento emozionante della scelta. Quale scelta? Ma quella dell’artista che si esibirà nel giorno principale, dovrebbe essere ovvio!

Già alla prima riunione con gli impresari delle varie agenzie, hai individuato il genere di artista che cercavi. Seguendo questa traccia musicale hai scansato il fitto sbarramento degli Artisti Che Non Avranno Nessuna Speranza Di Metter Piede Su Questo Palco, che ti guardavano accigliati dai dvd e dai depliant cercando di intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s’estendono per ettari e ettari i Comici Che Non Hanno Mai fatto Ridere Nessuno, i Comici Le Cui Battute Conosciamo Ormai a Memoria, i Comici Che Sono Già Venuti Una Ventina Di Volte E Per Quest’Anno Possiamo Evitare. E così superi le retrovie, ma ti piomba addosso la cavalleria dei Cantanti Che Se tu Avessi Più Soldi Certamente Li Chiameresti Volentieri Ma Purtroppo Gli Euro Che Hai Sono Quelli Che Sono. Con abilità da felino li scansi dall’altra parte, ma ecco che si presentano di fronte i Cantanti Che nemmeno Paolo Limiti Si Ricorda Più, quelli che Credevi Morti Da Un Pezzo, gli Pseudo Cantanti di Maria De Filippi Che L’Ultima Volta Che Ne Hai Visto Uno Era A Bordo di Un Volo Low Cost A 10 Euro Senza Bagaglio Da Stiva. Sventando questo terribile assalto arrivi di fronte alla trincea nemica, ma ecco che a fare l’ultima disperata resistenza ci sono loro, i temutissimi Tributi:
Tributi Ai Vari Cantanti Deceduti Sì Ma Sempre Presenti Nei Nostri Cuori, Tributo di Antonello Cuomo Venditti Che Con Lui Vai Sul Sicuro, Tributi agli 883 Nelle Varie Fasi Prima Dopo Durante La Cura Dimagrante Del Pezzali, Tributo al Tributo Ufficiale di Celentano Perchè Il Tributo Originale Non Te Lo Puoi Permettere.
Ecco, sei riuscito a ridurre il numero di forze in campo, puoi farcela, puoi arrivare alla meta, ma a sorpresa vieni insidiato dalle imboscate dei Cantanti Regionali Che I Soldi Sarebbe Meglio Lasciarli in Sardegna e dei Cantanti Che Han Sempre Riempito La Piazza E Che Viene Tanta Gente.
Respingi l’attacco frontale, ti muovi con rapide mosse per non essere sotto tiro, ci sei quasi, ma ecco che inciampi contro la Band Regionale Vista Qualche tempo Fa Che sarebbe Ora di Riproporre… Azz.

Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni pensiero che non sia quello del tuo obiettivo. E’ venuto il momento che anche tu dica la tua. Dillo subito, agli altri: “No, non voglio sentire di nuovo i Tazenda!” Alza la voce se no non ti sentono: “Sono già venuti quattro anni fa!” Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: “Novità, ci serve una novità!”

Niente, il vociare aumenta, non ti ascoltano e il fronte si è spaccato.
Si vota 1-2-3 17 mani al cielo, ci siamo, hai vinto. No, aspetta, qualcuno si arrende all’avversario, c’è uno sbaglio, ma come? Ecco, di nuovo 1-2-3 15 pari non ci credi, non può essere, ci sono traditori tra voi, è così eh? Vorresti lanciare i Tazenda fuori dalla finestra, tra le lame affilate delle persiane, farli volare oltre il campanile, ridurli in atomi, in molecole, frammentarli, disintegrarli in impulsi luminosi, in segnali utili solo a far funzionare il tuo modem wi-fi. E’ proprio ciò che si meritano, nè più, nè meno.
Invece no: ti calmi, cerchi di ragionare. Sappiamo che sei piuttosto impulsivo, ma ormai in mezzo a queste discussioni hai imparato a controllarti.
Si riprende la votazione, la terza, l’ultima decisiva. Si spera.

Ora sei di fronte al palco.
E’ il 12 ottobre, la festa sembra essere un gran successo, c’è tanta gente, e molti giovani, e tu non riesci a levarti dalla faccia quel sorriso così compiaciuto. Brava, ce l’hai fatta.
Simone Cristicchi si avvicina, ti ringrazia, e incuriosito chiede: “Contro chi ho vinto la sfida, stavolta?”.

Comitato Villaputzu 2014, io c’ero.

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