Molto numerosi furono i militari sardi attivi a Roma contro l’esercito tedesco. Tra i carabinieri ricordiamo Matteo Mureddu (Nuoro, 1907), capitano, che costituì un gruppo di Carabinieri volontari per la difesa del Quirinale da eventuali attacchi e saccheggi. Prese dimora al Quirinale e nei sotteranei, con l’aiuto di altri, nascose i gioielli della Corona, di proprietà dello Stato, a cui i tedeschi davano una caccia incessante. Ma non si limitò a questo. Oltre a introdurre una rilevante quantità di armi, vi occultò l’argenteria, le porcellane, i mobili antichi, dipinti e opere d’arte che lo Stato aveva dato in uso al re, salvandole dalla razzia nazista. Dopo l’attentato di via Rasella venne arrestato dai fascisti e miracolosamente scampò alla strage delle Fosse Ardeatine. Immediatamente dopo la liberazione di Roma, il gruppo di Mureddu fu impiegato nel servizio di ordine pubblico e nella cattura dei repubblichini.
Morì a causa dei combattimenti tra l’8 e il 10 settembre il carabiniere Mario Cruccu di Cagliari (nato nel 1923), decorato con la croce di guerra al Valor Militare. Negli scontri rimasero feriti Paolo Argiolas di Torralba e Tommaso Giannottu di Tempio Pausania.
Altri civili sardi morirono durante i combattimenti per la difesa di Roma, ma le liste dei nominativi non riportano il luogo di nascita. I cognomi che indicano un’origine sarda sono quelli di Anselmo Fadda, Luigi Melis, Mario Secchi e Jole Zedde (uccisa a sedici anni da alcuni colpi di mitra sparati da un soldato tedesco presso la Stazione Ostiense).
Fra i militari dell’esercito che difesero la Capitale vi erano Luigi Cano di Iglesias (1905), organizzatore di formazioni partigiane nel Lazio e nel centro Italia, che dopo essere stato arrestato a Terni per delazione, riuscirà a fuggire durante la deportazione in Germania e a continuare la lotta con i partigiani toscani della 3ª Brigata Rosselli e Aldo Romero di Senorbì (1924), che morì nel 1944 dopo le torture che seguirono all’arresto.
Cano e Romero sono stati decorati con la medaglia d’argento.
Molti esponenti del Partito d’Azione erano a Roma durante i combattimenti, e alcuni di loro, l’impiegato Gavino de Luna e il professore di lettere Salvatore Canalis, moriranno alle Fosse Ardeatine. Stesso destino toccherà al militante comunista Sisinnio Mocci, uscito dal carcere e reduce della guerra civile spagnola. In tutto, saranno nove i sardi a perdere la vita a causa della strage, presi dal carcere dove erano detenuti per attività partigiana; oltre ai nomi già citati, ricordiamo il sottotenente Gerardo Sergi, il contadino Ignazio Piras, il brigadiere dei carabinieri, combattente nel battaglione “Hazon”, Candido Manca, l’avvocato Giuseppe Medas, il sergente pilota Pasquale Cocco e Agostino Napoleone, sottotenente di vascello.
Ma l’eccidio delle Fosse Ardeatine, con cui i tedeschi tentarono di fermare la ribellione addossando ai partigiani la colpa del perenne stato di guerra della città, non fu l’unico atto di rappresaglia ai danni di cittadini inermi. Le torture, effettuate dai tedeschi con lo scopo di ottenere preziose informazioni, erano normalmente seguite dalle fucilazioni, e anche la tristemente famosa banda Koch o quella del maggiore Mario Carità fecero tappa a Roma per poi accompagnare i tedeschi durante la loro ritirata.
La banda Koch aveva la sua sede in via Tasso.
Racconterà Giovanni Scottu, giovane poliziotto arrestato il 17 marzo del 1944 per aver installato una radio trasmittente clandestina sul galleggiante del Ministero delle Finanze ormeggiato sul Tevere:
“Per persuadermi a svelare i nomi dei complici, mi strappavano i baffi, mi avvitavano nelle tempie due punte di ferro tenute da un semicerchio d’acciaio. Mi sentivo scoppiare gli occhi”.
Con lui venne arrestato anche il tenente Maurizio Giglio, che dopo aver subito spaventose torture testimoniate dallo stesso Scottu, morirà alle Fosse Ardeatine senza aver mai rivelato nulla. Scottu riuscì a fuggire grazie all’aiuto di una guardia carceraria sarda.
Altrettanto atroci furono le sevizie subite da Antonio Feurra (1898).
Comunista di Seneghe, fu tra i più attivi organizzatori della Resistenza romana. Nella Capitale gestiva un banco di ortofrutta al mercato, ma Feurra non era un semplice commerciante, era il comandante militare dei Gap di Monte Sacro. Approfittando della sua attività, nascondeva armi e munizioni sotto la frutta e con il carretto le distribuiva nelle zone in cui i partigiani erano pronti a operare. Venne arrestato nella sua casa, davanti a moglie e figli, il 21 dicembre del 1943. Subì le torture nella prigione di via Tasso e infine venne fucilato a Forte Bravetta il 31 dicembre 1943.
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Per approfondire l’argomento si consiglia la lettura:
- “L’antifascismo in Sardegna”, a cura di Manlio Brigaglia, Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis;
- “Roma occupata 1943-1944. Itinerari, storia, immagini”, di Di Anthony Majanlahti, Amedeo Osti Guerrazzi;
- “Associazione Nazionale Partigiani d’Italia”, sito internet http://www.anpi.it;
- “La storia dimenticata del partigiano Antonio Feurra” (La Nuova Sardegna)
- “Stefano Siglienti, un banchiere contro Mussolini” (La Nuova Sardegna)